il fusionista

Le incongruenze dell'operazione "egemonia culturale" di Sangiuliano

Luciano Capone

Il Msi e Croce, Prezzolini e Gentile, von Hayek e Marinetti, Putin e le sbandate storiche sulla Crimea. È stato delegato da Giorgia Meloni a realizzare la rivoluzione conservatrice, ma nel Pantheon del ministro della Cultura c'è molta confusione

In campagna elettorale ne ha parlato spesso, dicendo che uno degli obiettivi del suo governo è quello di ribaltare l’“egemonia culturale” della sinistra che è diventata solo un’“egemonia di potere”. E dunque per Giorgia Meloni, che per necessità più che per virtù dovrà operare con una certa continuità con il governo Draghi sulla politica economica, una delle figure centrali del suo governo sarà il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, il quale avrà il compito di portare avanti questa rivoluzione culturale conservatrice.

 

La prima uscita pubblica del ministro della Cultura, che segna il primo passo dell’“operazione egemonia”, è stata una visita nella sua città natale, Napoli, alla casa di Benedetto Croce (“il più grande filosofo italiano del Novecento”), in occasione del centesimo anniversario della Marcia su Roma: “Per questo io sono qui oggi – ha dichiarato Sangiuliano – perché Croce fu il promotore del Manifesto degli intellettuali antifascisti, ma fu anche profondo anticomunista e polemizzò duramente con Togliatti. Secondo me, e forse non tutti saranno d’accordo, Croce è anche un testimone del pensiero liberal conservatore, e io sono un conservatore universalmente noto”. Sangiuliano, che è uno studioso del pensiero politico e biografo di numerosi leader politici tra cui Putin, è impegnato a costruire il pantheon intellettuale della destra meloniana. Il rischio, però, di mettere insieme l’eredità missina e Don Benedetto, Giuseppe Prezzolini e Giovanni Gentile, Edmund Burke e Filippo Tommaso Marinetti è che più che un pantheon venga fuori un potpourri conservatore. Una grande chiesa che va da Machiavelli a Madre Teresa, per dirla con Jovanotti.

 

Il segno della complicata operazione culturale fusionista che gli è stata affidata da Meloni, era già visibile nell’intervento alla Conferenza programmatica di FdI a Milano, lo scorso aprile, alla quale Sangiuliano, all’epoca direttore del Tg2, fu invitato a tenere una breve lectio su “Cosa significa essere conservatori nella storia del pensiero italiano e mondiale”. Il compito era di per sé proibitivo, ma i soli sei minuti a disposizione condussero a qualche svarione: “Il conservatorismo – disse Sangiuliano – nasce in Svizzera, quando nella Perly Monty Society (sic!) si ritrovano persone come Von Hayek e Von Mises, due ebrei austriaci che scapparono dalle persecuzioni razziali negli Stati Uniti e crearono la Scuola economica di Chicago”.

 

La “Perly Monty Society”, ovviamente, è la Mont Pelerin Society che difficilmente può essere indicata come culla del conservatorismo, non fosse altro perché è stata fondata solo nel 1947. Ma soprattutto perché è stato un cenacolo intellettuale liberale, più che conservatore. Lo stesso Friedrich von Hayek, che non ha fondato la Scuola di Chicago, si riteneva un liberale classico (più precisamente si definiva “Old Whig”) ed è davvero arduo indicarlo come fondatore del conservatorismo, anche perché nella sua opera politica fondamentale, “The Constitution of Liberty”, scrisse in appendice un saggio che lascia pochi spazi a dubbi e interpretazioni, a partire dal titolo: “Perché non sono un conservatore”.

 

Ciò che all’economista e intellettuale austriaco non piaceva dei conservatori, scriveva Hayek nel saggio, “è la paura del cambiamento”. E da questo punto di vista Sangiuliano è poco conservatore. Nel senso che non ha paura di cambiare. Ad esempio, nei giorni scorsi è tornato alla ribalta un suo intervento del 2018, quando era vicino a Matteo Salvini, in cui affermava che “storicamente la Crimea è sempre stata russa”: fu assegnata all’Ucraina nel 1954 dall’Urss di Kruscev e pertanto “chi oggi dice che la Crimea non è russa avalla una decisione presa da un regime totalitario”. Ma ora Sangiuliano, da ministro della Cultura del governo Meloni, ha immediatamente scritto alla Stampa per spegnere la polemica: condanna l’aggressione di Putin che ricorda l’invasione della Polonia del 1939, “aggredita a tenaglia dai nazisti e dai sovietici”, spiega che quello sulla Crimea era “un ragionamento storico molto articolato” e conclude dicendo che “per quanto mi riguarda, oggi la Crimea dovrebbe tornare nella sovranità di Kyiv”.

 

Quindi se nel 2018 la Crimea doveva andare alla Russia in nome dell’antitotalitarismo, nel 2022 deve tornare all’Ucraina sempre in nome dell’antitotalitarismo: metti la Crimea, togli la Crimea. La si potrebbe definire Dottrina Miyagi delle Relazioni internazionali, dal nome del saggio maestro di “Karate Kid” che insegnava al giovane Daniel-san: “Metti la cera, togli la cera”. Sicuramente anche per il maestro Miyagi c’è un posto nel pantheon conservatore di Sangiuliano.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali