Il racconto

Una notte con Salvini a Saronno, tra la base stordita: "Non lascerò mai la guida della Lega"

Carmelo Caruso

Incontra i militanti in una sala scolastica con Giorgetti e Fontana. Il processo si trasforma in abbraccio. I sentimenti, le pulsioni identitarie che tornano. La paura di chi sta per essere espulso e vede la il partito spegnersi

Saronno, dal nostro inviato. A Saronno anche l’amaro, la paura, diventa amaretto. “Bevi! E’ liquore nostro, DiSaronno”. Ventinove minuti da Milano. Binario uno, Malpensa Express. Costo: tre euro e cinquanta. Il tabaccaio: “Non si dimentichi di timbrare”. Un leghista: “Guarda che questa volta ti menano, eh, sì, ti menano”. E’ giovedì 6 ottobre. Siamo partiti da Roma. “Salvini incontrerà la base. Ci andate? E’ la sua prima volta dopo le elezioni politiche”. Abbiamo saputo attraverso un messaggio che Matteo Salvini avrebbe parlato presso la sala Aldo Moro, in via Santuario. “Non entrerete.  Provateci”.


Lunedì è arrivato questo sms: “E’ confermato. Salvini sarà giovedì a Saronno. Alle 21. Servizio d’ordine. Nessun accesso. Tutto blindato. Dicono che si porti anche Giancarlo Giorgetti e Attilio Fontana. Questi due sono in forse. Non darli per certi”. Chi ha scritto il messaggio ne invia subito dopo un altro: “Non ti aspettare la rivoluzione. In realtà le domande a Salvini sono state concordate”. Gli chiediamo cosa significa. “Significa che i militanti hanno dovuto comunicare i temi. Che credevi?”. Il commissario della Lega in provincia di Varese si chiama Stefano Gualandris. “Con la s finale” precisa lui. Lo chiamano tutti il “Gualo”. E’ un piccolo imprenditore. Il Gualo ha la tessera della Lega da quindici anni. Non sarebbe capace di fare il boia. “Al prossimo congresso non mi ricandiderò. Ho deciso. Lo sapevano”. Ha un maglione grigio e indossa degli occhiali da geometra. E’ l’unico autorizzato dal partito a comunicare con la stampa. “I giornalisti, per favore, fuori dal cancello”. Saranno chiamati dentro da Salvini “giornalisti infami”, da Giorgetti descritti così: “Fuori ci sparano come iene”. E’ umido. 17 gradi. I blindati della polizia sono tre. “Quello che ti sembra un tuo collega, guarda che è uno della Digos” avverte una signora piccina. Gli chiediamo perché voglia dircelo: “Perché lei ha tanto l’aria di un balordo incosciente”.

 

Proviamo a fermare il marito: “Possiamo fare una domanda” e lui: “No!”. Lo urla così forte che si gira anche un agente. Successivamente chiederà il documento. I militanti sono seicento in tutto. Lo rivela sempre il Gualo che ne attende almeno 250. E’ cortese. E’ stato lui a chiedere a Salvini di venire: “E Salvini ha accettato. Nella Lega si fa così”. Dicono che Gualo sia un “giorgettiano”, un uomo di Giorgetti ma che Giorgetti alla fine “stia abbandonando questi soldati. Siamo soli. Non lo capisci?”. Corre per la presidenza della Camera come Roberto Calderoli corre per quella del Senato. Marco Leoni, uno degli iscritti alla Lega che ha il privilegio di pranzare con Umberto Bossi, “fino a questa estate”, racconta che esiste un’altra frazione ancora, la sua: “Mi chiamano terza linea”. E’ l’unico a pensare che Salvini sia una specie di sbandato: “Ha preso cattive compagnie. Si è perso”. L’ingresso della sala, un palazzetto a due piani, una scuola, è transennato. A pochi metri dalla porta è stato collocato un tavolo di plastica bianco. Sopra c’è l’elenco dei militanti che potranno entrare. “Attenti ai furbi”. Si conoscono tutti, si chiamano per nome. Non sono ingannabili neppure travestendosi da dio Po. Continuano ad arrivarci messaggi. “Salvini vuole indicare come viceministro degli Esteri Eugenio Zoffili”. Chi lo manda aggiunge: “Guarda che potrebbero essere le ultime informazioni che ricevi. Dopo la formazione del governo partiranno le espulsioni”. Salvini ha già richiamato al suo servizio l’europarlamentare Alessandro Panza. Lo chiamano il “generale Panza”. E’ famoso perché si muove come Javier Bardem in “Non è un paese per vecchi”. Era il killer Anton Chigurth, quello che uccideva con la fiamma ossidrica e la motosega.

 

Panza si vanta con tutti di averne una in ufficio. In questi giorni ripete a chiunque, anche nelle riunioni di partito: “Me ne occuperò io dei dissidenti. Ho la mia motosega”. In Veneto, Salvini ha affidato il compito di agente provocatore al lombardo Maurizio Bosatra. Garantiscono che stia girando sezione per sezione. Fa parte delle squadre speciali di Salvini. Deve veicolare il messaggio che la perdita di consenso della Lega va addebitata al governo Draghi e alle scelte dei governatori sui vaccini. Gli manca solo il polonio. L’arrivo di Salvini è atteso per le 21. Le televisioni hanno spedito un gruppo di reporter. Racconta Luca, uno di loro, che ormai è da anni che seguono la Lega come una pattuglia. Sono una banda. Luca quando vede avvicinarsi un’autoblu urla: “Sta arrivando una Trabant”. Riesce pure a scherzare: “Quello è Stefano Candiani. Lo sanno tutti che non sa parcheggiare”. Si riscaldano con le risate e una Heineken. Ogni giornalista cerca di fermare un leghista. Ce li dividiamo come nel calcio i difensori fanno con gli attaccanti. Daniele Alberti, per Repubblica, è il più svelto. Ha un metodo. Sta fermo all’ingresso e formula la stessa domanda uguale, sempre: “Salvini ha tradito il nord?”. Muove la sua “giraffa” il suo microfono telescopico, come una spada. “Grazie a questa, appena Salvini parlerà, proveremo a intercettare qualcosa”. Schiaccia l’occhio. Ha una cicca sempre in bocca, sembra Jigen, il compagno di Lupin.

 

E’ il primo a scorgere Dario Galli, ex segretario di Varese. E’ un leghista amato. A Varese lo volevano ancora in Parlamento. Non è stato ricandidato. Si trattiene. Gli viene chiesto: “Galli, lei perché è stato escluso?”. “Ho fatto quattro legislature. Largo ai giovani” risponde lui. Se ne va. Si capisce che ha subìto un torto. C’è l’ex segretario della Lega di Azzate che viene fermato e intervistato come fosse un senatore da due legislature. Nessun leghista dice che Salvini si deve dimettere da segretario. Ripetono tutti i vecchi tic. “Ora però ci deve portare l’autonomia” e per compattarsi la parola d’ordine è quella di Calderoli: “Bergamo nazione, tutto il resto meridione”. Dall’armadio hanno tirato fuori le loro felpe di colore verde. Ercole Rossi, magütt, ha un vecchio Borsalino grigio. Chiede una sigaretta: “Posso?”. Forse è il solo che si avvicina a spiegare il segreto della Lega: “Cosa vuole che ci importi se siamo scesi all’8 per cento?”. Dice che non rimpiange il 30 per cento. “Per me la Lega può anche tornare al 4 basta che torni Lega. Federalismo, territorio”. Non sopporta i leghisti con “i gipponi”: “Si vestono bene. Noi vestivamo male”. Forse è per questo che Giorgetti veste ancora malissimo. A Sumirago, a pochi chilometri da qui, è nato Ottavio Missoni. Il militante Giuseppe ha una barba da generale Garibaldi. E’ il più fotografato. Nessuno riesce a capire se Salvini sia arrivato. Entrano dal cancello auto oscurate, quella di Fontana è l’ultima.

 

La “Trabant” di Salvini nessuno capisce quale sia. Massimiliano Romeo, capogruppo al Senato, e Matteo Bianchi, ex deputato, si fanno spazio a piedi. La militante Patrizia, che abita in una casa Aler, 320 euro di affitto, 720 euro di stipendio, staziona con il piccolo Francesco, un riccioletto saraceno, tre anni. Gioca con il suo astuccio e una pistola da supereroe. Francesco ha il nome del nonno e vuole vedere “Teo”. Patrizia è sicura che “Teo” Salvini si fermerà e che si farà la foto. Poi confessa che ha votato Meloni. Bella contraddizione le diciamo sorridendo. “L’ho fatto per me”. Per te? “Era una donna”. Prende in braccio Francesco. “Fagli sentire come canti ‘Pistole nelle Gucci”. E’ la canzone del neomelodico Niko Pandetta, un “malamente” a cui hanno anche impedito di esibirsi per il contenuto dei suoi testi, le sue frequentazioni. Ma a Francesco piace il ta-ta-ta di “Pistole nelle  Gucci”. Balbettando ce la canta: “Se entriamo zitti tutti/ Pistole nelle Gucci/ Bastardi coi cappucci/ Fanno ra, ta, ta”. Poi dice: “L’hai imparata? Ti piace?”.

 

I Carabinieri, racconta Patrizia, lo hanno fatto sedere sulle loro volanti e giocare con le sirene: “O mi cresce teppistello o diventa carabiniere”. Vive a Saronno, da sei anni, una “città di m…” e spiega che qui la “Lega è stata un po’ come nel meridione è l’Arma dei carabinieri. Molti trovavano in questo partito una fede, alcuni anche un lavoro. Volontariato, militanza. Il partito ti prendeva per mano. Veramente nella Lega abbiamo creduto”. La madre pensionata di Patrizia è originaria di Niscemi: “La Lega è un po’ come quelle famiglie siciliane. Padri che avresti voluto aggredire, madri che piangevano, rancorose. E però te le tenevi. Poi la sera ti chiudevi in camera e pensavi che un giorno sarebbe cambiato e li avresti anche potuti perdonare. Non troverai nessuno che parlerà male di Salvini. Non qui almeno. Stai perdendo tempo. Non è la tua battaglia. Dimenticalo”. E’ passata la mezzanotte ed è così tardi che tutti i quotidiani hanno chiuso le loro edizioni. La frase più utilizzata è “timidi applausi”. Da dentro arrivano però dei messaggi. Un militante impensabile, anziano, senza più nulla da perdere, uno degno d’onore, da Saronno lo invia a un altro del Veneto, dal Veneto al Piemonte e dal Piemonte arrivano in Lombardia, poi a noi. Una delle frasi più applaudite dicono sia stata questa, ma non riusciamo a dare il nome di chi l’ha pronunciata: “La base deve poter crescere, vedere riconosciuti i sacrifici. Il movimento deve cominciare a restituire e non più solo chiedere”. L’altra è di Francesco Speroni che infiamma: “Voglio ricordare che qui Umberto pronunciò la frase d’ordine. I leghisti…”. E in coro: “Ce l’abbiamo…”.

 

Tutta Saronno allora si sveglia. I leghisti si alzano in piedi. E’ ancora Speroni a chiedere a Salvini cosa accadrà ai militanti che aderiranno alla corrente di Bossi e Salvini: “Tutto quello che fa Bossi ha la mia adesione, la mia firma”. Si è già ingoiato anche la corrente. Quando prende la parola Giorgetti compare questo messaggio: “Niente. Filosofeggia”. Si prende in giro da solo: “Ecco ora parla Giorgetti, il governista coglione”. Messaggio successivo: “Salvini e Giorgetti, neppure si guardano”. Aggiunge che eravamo a un passo da ottenere con il governo Draghi alcuni risultati: “Ci abbiamo provato ma neppure tanto”. Salvini nella replica dirà: “Facile fare casino da fuori. Al governo abbiamo ottenuto importanti provvedimenti”. Giorgetti ricorda che “Meloni deve essere riconoscente per i sacrifici umani che abbiamo fatto e che la tenzone su Attilio Fontana deve terminare. E’ lui il candidato in Lombardia”. E Salvini: “Agli alleati dirò in maniera chiara che c’è solo Fontana presidente. Oltre a chiedere il ministero della natalità”. E’ da quindici giorni che lo deve dire. Giorgetti anticipa quale sarà il metodo al governo: “Con adeguati ricatti andremo questa volta in buca”. E Salvini: “Facile fare come i segretari del Pd che si dimettono. Io non lascerò la Lega fino a quando la riporterò al 30 per cento”. Giorgetti raccontano che sia esploso in una risata.

 

Salvini non se andrà. Sta lottando. Vuole tornare indietro a quando è stato felice, a quando era forte, a quando era amato, guardato con fierezza. E’ a suo modo disperato come il protagonista del film “2046”. Voleva riprendere la donna che aveva amato come Salvini vuole ritrovare la Lega del 30 per cento. Se solo non fosse scappato via, in auto, appena finita l’assemblea, avrebbe trovato ad attenderlo il piccolo Francesco, “mamma, quando arriva Teo?”. Bisogna ricominciare sempre dalle piccole cose. La pistola di un bambino, una canzone fino a rintronarti… Patrizia dice che “Teo non si è fermato. Dunque ora si va a letto. Dai un bacio”. Francesco punta la pistola e canta: “Zitti tutti/ Pistole nelle Gucci/ ra, ta, ta, ta. Ma ti piace?”.
 

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  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio