Giorgia Meloni e quelle notti prima del governo

Simone Canettieri

La leader di FdI dice di non chiudere occhio per le responsabilità. Il racconto del compagno Andrea Giambruno sul clima in casa e nel partito

"Ma tu dormiresti la notte se fossi al posto di Giorgia?”, chiede l’unico testimone oculare dell’insonnia meloniana, nuovo tassello dell’eterna letteratura su Morfeo e potere. Giorgia Meloni ha confessato che ultimamente non starebbe chiudendo occhio. Tanti sono i pensieri, densi come nuvole nere, che le vanno a far visita da sotto il cuscino. E magari anche certi dilemmi esistenziali che, tra sé e sé, suonano così: “Mejo come la Thatcher, come la Merkel o come la Truss?”. Tenera non è la notte a Mostacciano, Roma sud, nell’appartamento della nuova royal family. Tuttavia, serve la fonte primaria, senza bisogno di vedere l’intero girato. E chi meglio di lui, di Andrea Giambruno, presidente della Camera (matrimoniale) di FdI? “Ora, al di là dei titoli dei giornali, è proprio così: è una fase delicatissima per l’Italia. Giorgia sente su di sé una responsabilità enorme, che le toglie il sonno. Le famiglie non ce la fanno ad andare avanti, le imprese chiudono: è una situazione drammatica. Chi l’ha votata come ultima speranza potrebbe rimanerne deluso molto presto se non arrivassero subito risposte adeguate. E poi, diciamocelo, il consenso è volubile. Oggi sei alle stelle, domani non più. E lei lo sa benissimo: è una professionista della politica. Certo, se Draghi non si fosse dimesso, se si fosse votato alla fine della legislatura – dice al Foglio Andrea Giambruno – per noi sarebbe stato meglio, sotto tanti punti di vista. Ma è andata così: Draghi ha lasciato, gli italiani si sono espressi e adesso è il momento che tutti scendano in campo, a partire dai migliori. Come la vecchia pubblicità della Nike”. Giambruno ce l’ha con Fabio Panetta, più coccolato di lui in questa fase storica dalla leader di FdI. Anche mister Meloni ha la speranza che alla fine, magari, ci pensi il telefono del Quirinale a convincere l’economista della Bce a spostarsi in Via XX Settembre. Giusto? “Ma questo lo dici tu”. Segue risata scacciapensieri. 

E’ un giornalista simpatico e veloce di testa, il first partner. Va chiamato così: “compagno d’Italia” suonerebbe un po’ male, specie dopo essere stato accusato anche di essere di sinistra. Sta passeggiando di prima mattina per le viuzze intorno a Montecitorio. Spesso è stato avvistato anche a bordo di un monopattino. Tipo Rocco Casalino, con il quale condivide un’impeccabile cura del look e chissà forse anche un po’ di sano narcisismo. “Ecco, Rocco, al di là forse di una eccessiva esposizione che a volte ha avuto, è stato un portavoce davvero bravo a Palazzo Chigi. A noi servirebbe una figura simile a lui, ma è la mia opinione da addetto ai lavori”. Fa parte anche lui di questo esercito di eminenze grigie, di consiglieri che sussurrano nelle orecchie della capa da diversi punti di vista: la mamma-monumento, la sorella-colonna, l’affidabile cognato-capogruppo, il compagno-giornalista, poi Giovanbattista “Spugna” Fazzolari, Guido Crosetto, Riccardo Pugnalin... E’ tutto un pissi pissi sotto la Fiamma

Giambruno dice che deve andare a trovare un amico in una boutique del centro (ormai anche la famosa Ztl si è abbastanza convertita al nuovo credo, in trepidante attesa della salvatrice della Nazione, sperando che non chieda sacrifici né oro alla Patria per pagare le bollette). Giornalista Mediaset in ascesa, padre di Ginevra detta Giggì, 41 anni e fisico di chi si sfoga molto con lo sport, come da manuale casalingo anti devianze. Sembra aver dormito, almeno lui. Uno di due. Anche se dalla chiacchierata si percepirà davvero il senso di “ora grave” che sta vivendo la dolce metà di Giambruno, nonché leader della destra italiana, ma soprattutto futura prima premier donna d’Italia. Sospesa tra incombenze da far tremare i polsi e gli alleati birichini di cui non si fida per via degli appetiti famelici di ministeri. Meloni sembra vivere uno sdoppiamento: lasciare il sovranismo urlato e illiberale degli amici di Budapest per cercare un centro di gravità permanente, a partire dall’Europa, o continuare con una linea che la isola però dalle cancellerie che contano? Intanto non chiamatela draghiana. Si infuria. E sbrocca, come si dice alla Garbatella. E quando è nervosa si accende subito una sigaretta, di quelle slim. Causa ultimamente di una fastidiosa tossetta. Non deve essere facile. A proposito, Giambruno, dov’è adesso Giorgia? “Ora è a casa”. Ma sarà davvero così?

E’ una giornata come tante di purissima altalena meloniana. E’ giovedì. Ma potrebbe essere venerdì o lunedì. Limbo. Chat da consultare in attesa di notizie. Chiamate senza risposte. Dentro Fratelli d’Italia regna ormai un paranoico, ma anche comprensibile, silenzio da giorni. Negli ultimi anni questa classe dirigente, ora razza padrona, ha chiesto interviste ai giornali, finanche trenta righe di taglio basso in fondo alla pagina. I cronisti più smaliziati rinfacciano quei tempi. Si giocano antichi rapporti o folgoranti adesioni politiche. Ma tanto adesso non si parla. Non si può. Ordini superiori. Al massimo i colonnelli dicono, in chiaro, cose banali. I dispacci sono ridotti al minimo. La vittoria piena e storica delle elezioni è stata mutilata. Nessun carosello. Zero bandiere da sventolare. Manco una cenetta di gruppo, sogno di telecamere a caccia di improbabili commensali con strani movimenti degli arti superiori al momento dei saluti. Invece, niente. Solo lacrime di commozione, roba che sembrava sincera, nella notte magica all’Hotel Parco dei Principi, quella del 25 settembre. Per chi è partito dall’1,9 per cento è un riscatto, di quelle cose che racconti ai nipoti dopo aver ascoltato per una vita i racconti dei comizi di Almirante. Per questo: profilo bassissimo. “Se semo capiti?”. A partire dalla diretta interessata. Nuova regina d’Italia pur non provenendo da una famiglia coronata. Pur non essendo Sophia Loren. Pur non avendo sposato un riccone. Anzi, come si sa, questa famiglia d’Italia ha una storia abbastanza complicata. Densa. Degna di un romanzo popolare di appendice che infatti continua a uscire a puntate (tipo la disavventura giudiziaria del padre). 

Insomma, la nuova eroina della destra era partita con uno standing perfetto, poi ha avuto una strambata violenta contro Mario Draghi, destinata ad avere forse conseguenze. Accortasi del pasticcio, ha subito provato a recuperare con un tweet diretto a Ursula von der Leyen, che sembrava scritto da Draghi, ma forse anche da Carlo Calenda o Paolo Gentiloni. Come d’altronde subito le hanno fatto notare i follower sdegnati da cotanta educazione nei confronti dell’Europa matrigna. “Ma non avevi detto che sarebbe finita la pacchia?”. Certo, ma quella della campagna elettorale. 

E dunque si sta tutti in questo ascensore. Su e giù. Quale modalità va usata? “Fero” o piuma? “Di sicuro abbiamo iniziato a ricalibrare la comunicazione social, dividendo il profilo di Giorgia da quello del partito. Stiamo studiando: tutto sotto controllo”, dice al Foglio Tommaso Longobardi, genietto della macchina di propaganda melonista, cresciuta a dismisura e in maniera speculare alla Bestia di Matteo Salvini, ma sempre con lo stesso algoritmo indignato e poco gentile. Anche Longobardi, dalla solida formazione casaleggiana, vive una fase di trapasso. E dunque inedita. Andrà a Palazzo Chigi, questo è sicuro. Dopo il vuoto social di Draghi, degna compensazione della scorpacciata pandemica contiana.  Di fatto, tutto è sospeso, dal 25 settembre, in attesa che si metta in moto la macchina del calendario istituzionale che la porterà a ricevere l’incarico sul fatale Colle. Si inizia il 13 ottobre con la presidenza delle Camere. E poi il rosario si sgranerà attraverso una liturgia che Fratelli d’Italia ha sempre vissuto da spettatore. Giusto, ma nel frattempo che si fa? Meloni sta lassù al sesto piano di Montecitorio, palazzo dei gruppi parlamentari, fa cose e vede gente. L’aspettano pochissimi eletti. Presidia il territorio Francesco Lollobrigida. Gira scortata da Patrizia Scurti, protettiva segretaria nonché lascito dell’epopea finiana. Anche Gianfranco adesso si è rifatto vivo come padre garante della svolta di Fiuggi, mica acqua minerale, ma patente democratica da ribadire alla stampa estera alle prese con domande cespugliose sul ritorno del fascismo in Italia cento anni dopo. A proposito, per il giuramento del nuovo governo solo una data è barrata di rosso: il 28 ottobre. Si punta a fare prima di quel giorno, marciare spediti. 

“Questo piano è off limits”, fa notare lei, donna Giorgia, a un manipolo di cronisti curiosi che bivaccano fuori dal suo bagno, accucciati per le scale, dopo una saga tolkieniana nei corridoi del Palazzo che meriterebbe ben altre fortune. Almeno un titolo tra virgolette da portare in redazione. (“Ci dice una cosa sulla lista dei ministri di Salvini?”. “No”. “Si ferma un attimo?”. “No!”. “Perché?”. “Perché no! Vi prego!”). 

Intorno a Montecitorio, i luoghi meloniani sono deserti. In attesa. Congelati. A partire dalla “Campana”, cento passi da Via della Scrofa, epicentro del potere rampante. E’ il ristorante, tax viarum alla mano, più antico del mondo: 1518 contro il Botin di Madrid (1725). E’ la mensa del partito, ma non solo. Da una vita è di proprietà della famiglia di Paolo Trancassini, deputato meloniano di Leonessa, nel Reatino. Quinto quarto, carciofi in tutti i modi, pasta e broccoli, cucina romana, torta di mele clamorosa. Già frequentato da Mario Draghi prima della Bce, ma anche da Giorgio Napolitano che venne qui a festeggiare l’elezione a presidente della Repubblica. Capita d’incontrare il giurista e accademico Natalino Irti. Un giorno vi entrò anche un giovane ministro francese dell’Economia: nessuno lo riconobbe, lo scambiarono anzi per un turista con la passione per le donne mature, e lo piazzarono in un tavolo scomodissimo in mezzo al viavai dei camerieri. Era Emmanuel Macron. L’incidente alla fine fu recuperato in extremis. Succedesse adesso l’Eliseo ritirerebbe l’ambasciatore, altro che vigilare sui diritti umani.

Le sorelle Meloni, specie la più piccola, amano gli gnocchi al sugo. Sono ghiotte di carciofi. Se non vanno qui si buttano da Bucatino a Trastevere, da Maxelâ, o dal tottiano Rinaldi al Quirinale. Le truppe si incrociavano anche dal mitico Vincenzo in via Castelfidardo, zona Cassa Depositi e Prestiti. Ma ora è inutile. Giorgia non si fa vedere dalla scorsa estate fra i tavoli della Campana. Troppi impegni, troppe ansie. Ma dov’è? Nonostante l’ottobrata romana, non è di certo al mare. Come ha detto a Repubblica Pietrangelo Buttafuoco, questa è la rivincita di Coccia di Morto su Capalbio. Tuttavia, allo stabilimento Havana Beach, Giorgia e Arianna, ma anche Giambruno e Lollobrigida, mancano dall’estate del 2021. In compenso in questi giorni di ottovolante è spuntata fuori anche Anna Paratore, figura centrale di questa saga. E’ la mamma d’Italia, il genitore unico, e non 1, della famiglia. Primo esempio di mamma di un politico che scende in campo per rassicurare sull’operato della figlia (“non toccherà la legge sull’aborto”) ma soprattutto per difenderla dal tweet limaccioso di Rula Jebreal, sulla storia del padre beccato con un carico di droga in Spagna, anche se la figlia era stata abbandonata quando aveva appena un anno e, quando ne compì undici, decise di non vederlo più. Dunque, molto prima dell’arresto.  “Sono stufa!”. “Questa giornalista si vergogni!”. E poi una mozione degli affetti più cari con tanto di ricostruzione dei legami con Franco Meloni, sincera e dolorosa. Ultra pop. Roba da Verissimo. La signora Anna l’aspettano al Quirinale quando sarà il fatidico giorno. Anche lei alla fine è salita su questa altalena. Pubblico e privato. Artigli e piume. Sospensione e aspettative. Una bolla in cui si è ficcato l’intero paese. A partire dalla diretta interessata.

Tramestio. Cameraman che imprecano. Parolacce. “Eccola! Arriva!”. Spunta una Cinquecento bianca da piazza del Parlamento. E’ lei. Sta per entrare alla Camera. Flash. Oggi come si sarà svegliata? Quale sarà la sua postura? Stile Vox andaluso o grigio Bruxelles? E i tecnici quanti? E chi glielo dice ai colonnelli fedelissimi (che quando tornano a casa trovano le mogli che dicono loro: “Allora ti fa ministro?”) che saranno silurati dal governo? Su e giù. Orbán o Zelensky? E con Biden come siamo messi? Silenzio. Pancetta o guanciale? Adesso gira così. E Draghi l’ha sentito? Sorriso di convenienza. Frase concordata, con la portavoce Giovanna Ianniello, per affamare la stampa. Poi Meloni saluta. E Salvini? e Berlusconi? “Buona giornata, buon lavoro ragazzi. Non parlo di governo fino a quando non ricevo l’incarico”. Si chiude il cancello del garage della Camera, un’altra giornata di bunker all’orizzonte. Sta per iniziare a parlare con i suoi di nuovo di bollette. E del ministero dell’Economia. Piani A, B e C. Poi certo ci sono sempre gli alleati che l’aspettano al varco. “Oneri e onori, cara Giorgia”, dice Matteo Salvini in queste ore. Ha la testa al Viminale, un piede alle Infrastrutture e un braccio all’Agricoltura. “Giorgia è stata sempre descritta – dice ancora Giambruno al Foglio – come un mostro a tre teste, il contrario di ciò che è. In campagna elettorale questa narrazione le ha fatto solo un favore”. Intanto però è Meloni bifronte. Su e giù su questa altalena impazzita. Intanto è arrivato l’ascensore che la condurrà nel fortino dei pensieri. Un commesso della Camera avverte i cronisti: “Mi spiace, ma qui non si può stare”.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.