Giorgia Meloni (Ansa)

Luci e ombre

La sfida di Meloni: trasformarsi da lady Orbàn a lady no-Spread 

Claudio Cerasa

Il primo passo è quello di studiare un governo più No Vox che No Vax. La difesa della sovranità di un paese come l’Italia è inversamente proporzionale alla proliferazione dei sovranismi nel resto d’Europa

Il problema per Giorgia Meloni in fondo è tutto lì: che fare ora con i follower? Nel suo primo giorno da presidente del Consiglio in pectore, la leader di Fratelli d’Italia ha visto sfilare di fronte a sé, nel giro di pochi minuti, il suo passato, il suo presente, il suo futuro. Il suo passato – torbido, ambiguo, estremista e pericoloso – lo ha visto transitare rapidamente nel corso della mattinata di ieri, quando, con una sincronia micidiale, si sono premurati di inviarle messaggi pubblici di congratulazioni tutti coloro che Giorgia Meloni almeno una volta nella vita ha indicato come propri modelli politici. Arrivano così i complimenti di Marine Le Pen, leader della destra estremista francese che, usando parole simili a quelle scelte da Éric Zemmour, elogia Meloni e Salvini “per aver resistito alle minacce di un’Unione europea arrogante e antidemocratica ottenendo questa grande vittoria”.

 

Arrivano così i complimenti di Viktor Orbán, primo ministro ungherese, simbolo dell’internazionale complottista di destra, che ringrazia l’adorata “Giorgia” sottolineando che “in questi tempi difficili abbiamo bisogno più che mai di amici veri che condividono una visione e un approccio comuni alle sfide dell’Europa”. Arrivano così i complimenti di Vox, partito simbolo dell’estrema destra spagnola, secondo cui “Meloni ha indicato la strada per un’Europa orgogliosa, libera e di nazioni sovrane”. Arrivano così i complimenti dell’estrema destra tedesca, dall’AfD, che si congratula con “gli amici Matteo Salvini e Giorgia Meloni”. I simboli più genuini dell’estremismo nazionalista intravedono dunque nella vittoria di Giorgia Meloni la possibilità concreta di trasformare l’Italia in un nuovo campo hobbit del populismo mondiale, in una nuova centrale dell’euroscetticismo, nell’avamposto di una nuova internazionale sovranista pronta a diventare un traino per tutto il resto d’Europa.

 

Il passato di Meloni stona però in modo molto vistoso con la narrazione che Meloni stessa ha voluto dare di sé in questi mesi. E la ragione per cui la prospettiva di un governo sovranista oggi non sembra essere considerata dai mercati, dagli investitori, dalle borse temibile come lo era nel 2018, quando lo spread di fronte alla prospettiva di un governo gialloverde si impennò di circa cento punti base, è legata proprio a tutto ciò che nelle ultime settimane la leader di Fratelli d’Italia ha tentato di fare per dimostrare di aver chiuso i ponti con il proprio passato populista. E il risultato è quello osservato ieri: Borsa di Milano che chiude bene (addirittura la migliore in Europa), differenziali di rendimento dei titoli di stato in linea con il resto d’Europa (spread a 240), investitori che mostrano di avere fiducia nella capacità di Meloni di essere incoerente con il suo passato (nessun grande fondo negli ultimi due mesi ha invitato a dirottare fuori dall’Italia i propri investimenti), fondi internazionali che considerano la possibilità di avere un governo stabile, poco influenzato dalla Lega di Matteo Salvini, “un segnale complessivamente positivo per i mercati” (così ieri Algebris in una nota) e Amministrazione americana che nonostante la distanza politica con Meloni (Meloni è conservatrice, Biden è democratico) ha incoraggiato sorprendentemente la leader di Fratelli d’Italia nella sua futura azione di governo attraverso le parole di grande apertura offerte dal segretario di stato, Antony Blinken (“Dopo le elezioni italiane di ieri, siamo ansiosi di lavorare con il governo italiano sui nostri obiettivi condivisi: sostenere un’Ucraina libera e indipendente, rispettare i diritti umani e costruire un futuro economico sostenibile”. 

 

L’Italia – ha aggiunto Blinken – è un alleato fondamentale, una democrazia forte e un partner prezioso”). La preoccupazione per quello che potrebbe combinare un governo Meloni c’è, ovviamente, e ha ragione chi sostiene che l’esecutivo sovranista verrà giudicato, quando nascerà, per quello che sarà il suo contributo sul futuro dell’Europa (difficile in Italia fare i polacchi, che non sono nell’euro e che hanno un debito molto basso), per quello che sarà il suo contributo rispetto al tema delle sanzioni alla Russia (una Lega debole è più o meno pericolosa?), per quella che sarà la sua capacità di rispettare i contratti stipulati con l’Europa (rinuncerà Meloni all’idea di rinegoziare il Pnrr?), per quella che sarà la sua capacità di non premere l’acceleratore del complottismo in caso di difficoltà economiche (riuscirà a resistere alla tentazione, in caso di crisi, di non rispolverare tutto l’armamentario complottista e anti europeista?) e per la sua capacità di non tradire le attese nel governo del futuro rispetto alle due caselle più importanti dell’esecutivo che sarà. Ovverosia: un ministro dell’Economia più vicino al modello Daniele Franco che al modello Giulio Tremonti (e a Daniele Franco, a quanto risulta al Foglio, è stato già chiesto dal centrodestra di rimanere) e un ministro dell’Interno più vicino al modello dei prefetti che a quello del Papeete (e un Salvini molto basso, come consensi, per Meloni è più un’opportunità che un problema, non rispetto a ciò che la Lega potrebbe chiedere al governo ma rispetto a ciò che potrebbe pretendere).

Ma nonostante questo le ragioni per vedere un futuro dell’Italia dominato non solo da ombre ci sono. L’atlantismo, a differenza del 2018, non è in discussione. L’euro neppure. La difesa dell’Ucraina nemmeno. Il modello Italexit resta fuori dal Parlamento. I No vax sono stati bocciati. E di fronte all’euroscetticismo della destra ci sono alcuni argini destinati a pesare: un debito pubblico che per quanto sia grande, mutando una famosa battuta di Ronald Reagan, non sa ancora badare a se stesso; un capo dello stato che, per quanto paziente, fisserà dei paletti invalicabili sulla strada dell’europeismo; un piano di riforme legato al Pnrr molto ambizioso che, per quanto possa essere difficile da far marciare alla stessa velocità di crociera del governo precedente, sarà necessario portare avanti con i tempi concordati con l’Europa per avere la certezza di avere a disposizione il prezioso ombrello antispread della Bce, attivabile a condizione di rispettare i target del Pnrr. Fidarsi di Meloni è dura. Ma per farlo, il primo passo è quello di studiare un governo più No Vox che No Vax passando rapidamente dallo status di “lady Orbán” allo status di “lady Spread” e ricordando che la difesa della sovranità di un paese come l’Italia è inversamente proporzionale alla proliferazione dei sovranismi nel resto d’Europa. Il problema per Giorgia Meloni, dunque, in fondo è tutto lì: che fare con i follower?

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.