(foto Unsplash)

Sappiamo usare i soldi europei? Cosa c'è dietro il flop del Pnrr a Palermo

Stefano Cingolani

Si dice sempre che il sud è penalizzato rispetto al nord. Ma il vero problema è che nel mezzogiorno i progetti spesso non vanno in porto. Il caso della Sicilia, dove si sono persi 422 milioni di euro di fondi comunitari

Altro che rivederlo, rifarlo, modificarlo, il Piano di ripresa e resilienza non è ancora partito e tra propaganda elettorale e impreparazione territoriale, rischia davvero grosso. Il ventre molle è nelle istituzioni periferiche, comuni e regioni. L’ultima avvisaglia viene dalla Sicilia. Il ministero delle infrastrutture ha revocato 1,8 milioni di euro di euro alla città metropolitana di Palermo per presentare progetti compatibili con il Pnrr (scuole, mobilità, risanamento urbano, case popolari) e lo ha fatto perché i progetti non esistono. Roma chiama Palermo non risponde, il governo spende il comune non è grado di dire come. La Repubblica ricostruisce la storia e ricorda il refrain del presidente della Regione Nello Musumeci: “E’ una vergogna privilegiare i progetti del centro-nord rispetto a quelli del sud”. Ma spesso i progetti del sud mancano o vengono bocciati come nell’autunno scorso sempre in Sicilia: 31 su 31 erano inadeguati e si sono persi 422 milioni di euro. Storie di ordinario malgoverno meridionale? Non c’è dubbio, anche se occorre tenere alta la tensione progettuale in tutto il territorio nazionale, tanto che Antonio Decaro, presidente dell’Anci, l’associazione dei comuni, ha inviato una lettera ai sindaci italiani invitandoli a segnalare ogni criticità. “In pochi mesi le amministrazioni hanno partecipato o concorso all’assegnazione di circa 40 miliardi di euro, certamente questa è la fase più rilevante e delicata”.  E’ vero, due terzi dei comuni hanno meno di mille abitanti e non sono dotati delle strutture tecniche, spesso nemmeno per confezionare progetti e bandi adeguati, figurarsi per realizzarli. Tuttavia questa volta non ci sono scuse.

 

L’Ance, l’Associazione dei costruttori edili tra marzo e aprile ha analizzato 596 progetti presentati da 177 amministrazioni locali, per un totale di 1,2 miliardi di euro. Ebbene l’80% non aveva un piano esecutivo che consentisse di aprire il cantiere, il 66% solo un progetto di fattibilità tecnica ed economica, mentre il 72% dei piani non era stato aggiornato rispetto agli incrementi di prezzi dei principali materiali da costruzione. L’adeguamento è possibile già oggi, nonostante quel che sostiene la propaganda della destra, ma non è stato ancora fatto. All’indagine dei costruttori hanno partecipato 255 enti territoriali per l’85% delle regioni del Nord, per l’11% del Sud e solo per il 4% del Centro. Tra gli enti settentrionali spiccano quelli veneti (74), seguiti da quelli lombardi (47), piemontesi (44) e friulani (36). 

Il pericolo s’annida ovunque, tuttavia il sud al quale è destinato il 40% degli investimenti, è una bomba ad orologeria. I cantieri meridionali sono ad alto rischio fallimento, denuncia il rapporto Svimez sul 2022. Mentre in Italia per completare una infrastruttura occorrono in media mille e sette giorni (ed è un tempo comunque eccessivo) al sud ci vogliono 450 giorni in più. Ciò compromette la tabella di marcia del piano che prevede il 31 agosto 2026 come termine definitivo. Nelle isole, l’ultimo mese utile per avviare le procedure burocratiche e rispettare il termine è già scaduto nell’agosto scorso, per il sud scade il mese prossimo. Le restanti macro-aree hanno più respiro: maggio 2023 per il centro e l’estate 2024 per il nord.

 

Si possono allungare i termini? Certo, ma solo per seri motivi non per inefficienza e comunque nel caso in cui i progetti siano già pienamente avviati. Se poi non ci sono nemmeno, i quattrini non arrivano. In questi mesi ci sono stati miglioramenti rispetto al quadro della scorsa primavera, sottolineano i tecnici che seguono il Pnrr dalla presidenza del Consiglio, ma chiedere proroghe e revisioni fa perdere il momento, il senso di urgenza, illude che nulla cambi e si possa continuare come nel passato. Al di là di quello che l’esecutivo uscente riuscirà a portare a termine nelle prossime settimane, secondo l’osservatorio di Openpolis, il nuovo governo subito dopo l'insediamento dovrebbe gestire almeno le 51 scadenze europee previste tra ottobre e dicembre 2022. Altrimenti salterebbe la terza tranche dei fondi. Se un governo di destra chiedesse modifiche in serie rispetto all’agenda Draghi, bene che vada accumulerebbe altri ritardi. Il sud rischia di perdere la sua ultima occasione, ma l’Italia intera andrebbe incontro a un clamoroso fallimento. I “revisori” non hanno capito la novità del Pnrr: il limite temporale. Non c’è spazio per italiche lungaggini. Anche il piano, come il governo Draghi, è nato per fare non per restare sulla carta.

Di più su questi argomenti: