Foto Ansa 

la campagna elettorale

Mélenchon e De Magistris come Masaniello e Robespierre

Maurizio Stefanini

Il leader francese de La France Insoumise arringa insieme all'ex sindaco di Napoli una piazza semivuota, tra bandiere comuniste, falce, martello e compasso di una Ddr

Masaniello e Robespierre a Piazza dei Tribuni, verrebbe da commentare, anche se forse nell’immagine dei due personaggi che oggi erano insieme a Roma per la campagna elettorale ci sarebbe da fare qualche precisazione. Luigi De Magistris ex-sindaco di Napoli e anche ex-magistrato e politico di lungo corso che rivendica il suo “governo popolare”, è un Masaniello che in realtà assomiglia più a un leader borghese della Repubblica Partenopea che ha imparato a guidare lui i sanfedisti, con stile anche alla Achille Lauro. E non gli basta aver sottratto a Giuseppe Conte Jean-Luc Mélenchon, costringendolo ad accontentarsi del forse non troppo gradito endorsement di Donald Trump. Maramaldeggia pure, dicendogli che non è vera sinistra chi come lui ha fatto respingere e annegare i migranti in mare.

 

Mélenchon che salta su una sedia e si mette a gridare con voce tribunizia non è solo un involontario rimprovero alla prima oratrice di Potere al Popolo, continuamente interrotta da richiami “voce!”, “non si sente!”. Rappresenta l’idea platonica dell’oratore rivoluzionario, anche se forse più che l’avvocato Robespierre ad arringare le folle in quel modo era Danton. Un vero “avvocato del popolo”, altro che Giuseppi.

 

“Resistenza, resistenza, resistenza”, grida Mélenchon col pugno sinistro alzato. “Noi avevamo vinto il primo turno delle elezioni legislative in Francia”, rivendica. “Noi siamo il movimento dei giovani, dei più poveri, delle classi popolari, più del 50 per cento ha votato per noi. Ed ecco qual è il vostro dovere. Non importa quanto tempo ci vorrà. Non importa quanta fatica ci vorrà. È questo che bisogna fare, perché è questa l’unica cosa che serve a qualcosa”.

 

Insomma, il tono è trascinante. Il problema è che Piazza dei Tribuni è un po’ grossa, e in effetti per tradizione le manifestazioni politiche nell quartiere romano del Quadraro si erano in genere fatte nella vicina Piazza dei Consoli, che si riempie prima. E chi appunto la prendeva in infilata doveva passare per ragazzini su scivoli, vecchietti con le bocce, giocatori di pallavolo, famiglie a passaggio per qualche centinaia di metro, prima di arrivare all’angolino in cui i due tribuni del popolo dovevano accontentarsi di una folla di forse 300 persone.

 

Effettivamente assiepati, se visti in quell’angolino. Un po’ meno imponenti, appunto, visti in prospettiva. Ma quello evidentemente passava il convento. Le bandiere di Rifondazione, debordanti rispetto a quelle di Potere al Popolo e di Unione Popolare, confermano che quest’angolo di Tuscolano era forse l’ultima roccaforte “rifondarola” in cui si potesse far parlare il leader francese a Roma senza fare brutta figura. Forse per questo, Mélenchon ha fatto un omaggio esplicito alla tradizione dei comunisti italiani.

 

Vicino a lui, un giovanotto con sulla maglietta l’emblema con falce, martello e compasso di una Ddr finita forse prima ancora della sua nascita.