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La meraviglia di una campagna elettorale senza pm in carica candidati

Claudio Cerasa

C’entra la legge Cartabia. C’entra l’appannamento dell’immagine della magistratura per colpa di qualche pm ideologizzato, ma non solo. Non sarà che anche i partiti più giustizialisti stanno rottamando il giustizialismo?

C’è una novità interessante nella campagna elettorale in corso ed è una novità che riguarda un’assenza sorprendente che si nota curiosando tra le liste dei partiti. Ci avrete fatto caso anche voi, forse, ma per la prima volta da molti anni a questa parte i leader politici che si candidano a guidare l’Italia hanno scelto di rinunciare a una prassi che sembrava ormai consolidata, scolpita nella roccia del codice moralistico del nostro paese: scommettere sui magistrati, alle elezioni, per mettere in risalto la castità delle proprie liste, la purezza delle proprie idee e la limpidezza dei propri programmi. Nel passato, l’Italia ha osservato e sopportato di tutto e nessun partito ha mai avuto particolare imbarazzo nell’alimentare uno spaventoso obbrobrio culturale definito in modo fin troppo neutrale con la famosa formula delle “porte girevoli”. C’è stato Antonio Di Pietro, ovviamente, che da magistrato ha tentato di moralizzare l’Italia con le sue manette dei valori, e insieme con lui, anche se a volte con profili diversi, ci sono stati altri casi, molto spesso a sinistra, di magistrati schierati con la doppia maglia. 

Da Gianrico Carofiglio a Felice Casson. Da Gerardo D’Ambrosio a Silvia Della Monica. Da Anna Finocchiaro ad Alberto Maritati. Da Stefano Dambruoso a Donatella Ferranti. Da Michele Emiliano a Luigi De Magistris. Da Pietro Grasso ad Antonio Ingroia fino a Franco Roberti. E anche a destra, spesso, storie simili, come dimostrano i casi di Alfredo Mantovano e Nitto Palma (e a livello comunale anche i casi di Catello Maresca, candidato dal centrodestra a Napoli, e Simonetta Matone, candidata dal centrodestra a Roma a fianco di Enrico Michetti). Storie diverse, profili diversi, garantismi diversi ma messaggi in fondo simili: una politica che vuole presentarsi agli elettori con un volto più puro non può rinunciare ad avere tra le proprie file i più puri tra i puri. Ovvero i magistrati.

Questa volta, però, le cose sono andate in maniera diversa e la novità è questa: nelle liste elettorali non c’è un solo magistrato di ruolo. Nessuno. Ci sono alcuni ex, come Federico Cafiero De Raho (M5s), come Roberto Scarpinato (M5s), come Antonio Ingroia (candidato con Italia sovrana popolare), come Carlo Nordio (Fratelli d’Italia). Ma nessuno in carica (a parte Cosimo Ferri, candidato con Azione e Italia viva, magistrato formalmente ancora attivo ma fuori ruolo da anni). La conferma arriva anche dal Csm, che lo scorso 19 agosto, prima della presentazione ufficiale delle liste, ha organizzato una riunione per valutare eventuali autorizzazioni o nulla osta necessari per consentire ai magistrati di candidarsi e la sorpresa è stata questa: zeru casi.

C’entra, in questa novità, l’immagine per così dire ammaccata della magistratura italiana, che a causa dell’attivismo giustizialista di alcuni pm ideologizzati e politicizzati vive una stagione di credibilità ridotta ai minimi termini. C’entra, in questa novità, la presenza di numerosi partiti, nel panorama politico italiano, che hanno sperimentato sulla propria pelle, in questi anni, cosa significhi alimentare un mostro chiamato circo mediatico-giudiziario e non è un caso se nessun partito abbia finora utilizzato la clava del giustizialismo per provare a conquistare voti: scommettere sulle manette dei valori, oggi, più che permetterti di conquistare voti promette di farteli perdere. C’è tutto questo ovviamente ma c’è anche altro e c’è da considerare anche l’effetto positivo prodotto da una legge approvata dal governo Draghi, su proposta del ministro Marta Cartabia, che ha scoraggiato non poco le candidature: la legge contro le porte girevoli della magistratura. Chi si candida, con le nuove regole, non può più rientrare in magistratura, e quella che il partito delle manette ha descritto a lungo come una legge liberticida in realtà altro non ha fatto che tutelare l’indipendenza e la terzietà della magistratura (più i magistrati di ruolo stanno lontani dalla politica e più l’indipendenza della magistratura sarà tutelata).

Non basta naturalmente una legge sulle porte girevoli per evitare che la magistratura sia tentata dall’esercitare un potere di supplenza sulla politica ma la presenza di una campagna elettorale poco manettara, senza toghe nelle liste, dove persino i partiti più populisti tentano di travestirsi da garantisti è una notizia gustosa, che ci porta in modo forse irresponsabile a porci una domanda molto ottimistica: e se la novità più interessante di questa campagna elettorale fosse proprio la rottamazione del giustizialismo anche da parte dei partiti più giustizialisti? Esagerare con l’ottimismo è rischioso, lo sappiamo, ma se il giustizialismo, nella stagione in cui tutti i partiti si dichiarano antipopulisti, fosse improvvisamente diventato sinonimo di populismo, beh, ci sarebbero buone ragioni per osservare questa pazza campagna elettorale con uno sguardo diverso. E chissà, persino con un sorriso.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.