La crisi del Carroccio

Lega e perestrojka. In Veneto il timore che Salvini stia lavorando per indebolire Zaia

Carmelo Caruso

L'epicentro della crisi è la regione di Luca Zaia. Il malessere contro le scelte dei commissari e la paura che dietro ci sia una strategia per cedere la guida della regione a Luigi Brugnaro

Il travaso di voti lo chiama “recupero” e il “riciclo” di proposte lo definisce novità. Matteo Salvini si è “guastato”. I militanti della Lega lo paragonano a un transistor: “Trasferisce energia, consenso, a FdI, e brucia le ‘resistenze’, la nostra identità”. In Veneto c’è una parola   che viene sussurrata: “Perestrojka”. Il vicesegretario di Salvini, Lorenzo Fontana, è scontento del commissario regionale scelto da Salvini. E’ Alberto Stefani, uno che per la base (questo è il titolo assegnato) è “l’attaccapanni”. A Padova e a Verona si ipotizza addirittura un disegno: ridimensionare il blasone di Luca Zaia, il “meccanico”, e offrire in futuro la guida della regione al sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro. La Lega dice della Lega: “Dopo il 26 settembre servirà un Gorbaciov”. 


La Lega non ama la Liga. Salvini sta facendo di tutto per compromettere la Lega moderna, europea, veneta. E’ la Liga della “tuta”, quella che raccontava Zaia in “Ragioniamoci sopra. Dalla pandemia all’autonomia” (Marsilio, oltre 40 mila copie vendute) si è formata con il grasso: “Nelle realtà umili come la mia, per me, i motori non avevano segreti. Ne ho smontati di tutti i tipi per ripararli, da quelli dei camion e delle auto a quelle dei trattori, delle moto e dei motorini”. A Cernobbio, prima che Giorgia Meloni si mettesse le mani tra i capelli, Salvini ha esordito così: “Avevo preparato 10 cartelle scritte con i sei governatori, i 3 ministri e gli oltre 800 sindaci, ma cambio programma”.

 

Se Salvini leggesse le proposte dei suoi governatori eviterebbe di riciclare l’idea di un ministero a Milano, quello dell’intelligenza artificiale (già Bossi ne aveva portato uno a Monza) e parlerebbe a tutti del partito nuovo. E’ quello che non ha paura dei diritti civili, che non allontana i giovani. Salvini continua a pensare che siano tutti “scoppiati”, una moltitudine che vuole farsi una quantità di canne e “noi – scandisce ¬– non lo permetteremo”. Prova, in realtà, e con mestiere, a estirpare la buona pianta che cresce. Quando un suo governatore o amministratore locale viene lodato da un giornale autorevole, ma critico nei suoi confronti, pensa che sia un traditore. Nella Lega i campioni vengono trattati come Marina Cvetaeva nella Russia del 1939. Sono nemici pubblici. In Veneto, la centrale dove la Lega ha gli stoccaggi del voto, ritengono la gestione di Salvini, e quella dei suoi uomini, “catastrofica”.

 

Tra i responsabili viene indicato Massimo Bitonci. E’ stato lui a scegliere, a Padova, di candidare sindaco Francesco Peghin, un imprenditore esterno alla Lega. C’era un candidato naturale, un “bulldog”. E’ Roberto Marcato, assessore di Zaia, ed era pronto a correre. La sua colpa è di essere troppo libero e di rilasciare forse qualche bella intervista. La campagna elettorale padovana, e lo raccontano i leghisti, è costata economicamente tantissimo. Sono stati eletti solo due consiglieri comunali. Ma la beffa è che oggi Peghin è capolista con Brugnaro alla Camera dei deputati. Dice un militante: “Si può anche accettare di perdere, ma solo se quella perdita costruisce futura classe dirigente”. Il sorpasso di FdI in Veneto è già avvenuto e non solo nel gradimento. E’ un sorpasso di seduzione. Un protagonista veneto come Carlo Nordio, una personalità di cui i veneti vanno giustamente orgogliosi, per i leghisti veneti “avrebbe dovuto essere nostro candidato. Perché ha scelto FdI?”. Ci sono due “operazioni” esemplari che fanno parlare di “strategia” per provare a intossicare il Veneto dei record. La prima riguarda la candidatura dell’europarlamentare Mara Bizzotto. E’ stata inserita nelle liste per il Senato perché libera una posizione che verrà occupata da una “fedele”, Paola Ghidoni, padovana.

 

L’altro caso è il trasloco di un ligure come Lorenzo Viviani nel collegio proporzionale Veneto due. Dalla Liguria al Veneto. Il presidente della Commissione agricoltura al Senato, Giampaolo Vallardi, uno dei pochi che è stato riconfermato con i voti dell’opposizione, è stato escluso e lo ha scoperto dalla televisione. Nella Lega ormai non sanno neppure licenziare. Per fare uno sgarbo alla Lega vax, quella che si igienizza le mani, quella rigorosa, si è deciso di ricandidare Dimitri Coin. Scendeva nelle piazze no vax e faceva lo scettico tanto che Alberto Villanova, il numero due di Zaia in regione, aveva chiesto al partito di intervenire. A Verona, dove ha vinto la sinistra, sono girati sms, di leghisti di primissimo piano, che consigliavano di votare Flavio Tosi per fare un torto a Sboarina che era passato dalla Lega a FdI. Chi crede che il Veneto sia una grande questione regionale, è in errore. Non solo perché Salvini usa questa regione come scudo: “Tanti imprenditori del Veneto mi dicono che le sanzioni…”.

 

Il Veneto è per la Lega il rigassificatore. Il Veneto è Zaia, l’unico leghista davvero popolare dopo Salvini. Ridimensionare Zaia, lasciare che FdI avanzi in Veneto, serve a rimpicciolire il suo futuro. Zaia è l’altra polizza della Lega. Non ha un portavoce, ma i giornali lo cercano ogni giorno. E’ l’unico che preferisce tacere anziché rilasciare dichiarazioni da perdente. In Veneto la Lega di Salvini sta lasciando parlare due leghisti come Bitonci e Ostellari. Arringano le folle cosi: “Paghiamo la responsabilità d’essere stati al governo”. Si vergognano del meglio che hanno fatto. I governatori della Lega sono infatti scomparsi dalla campagna elettorale della Lega. Manca solo l’esilio. C’è da credere a Salvini quando dice che lui non ha contatti con Mosca. E’ l’aria di Mosca che gli è entrata in testa.

 

 

Di più su questi argomenti:
  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio