Foto di Roberto Monaldo, via LaPresse 

relazioni

Volare tra Draghi e Meloni. Quei racconti sulla vendita di Ita

Salvatore Merlo

Mario e Giorgia. Verità e leggenda di un rapporto reciprocamente utilitaristico. La leader di Fratelli d'Italia non ha mai criticato troppo aspramente il presidente dimissionario e lui, non di rado, l'ha difesa dai suoi compagni di coalizione

Lui la aiutò moltissimo nelle nomine Rai, garantendole spazi e capacità di manovra interna alla televisione pubblica. E quando lei subiva le angherie di Salvini, lui fece in modo che il leghista ancora potente e sicuro di sé le cedesse il Copasir, la commissione di controllo dei servizi segreti, l’istituto parlamentare che la Lega non voleva mollare a nessun costo e che invece toccava a Fratelli d’Italia. Nemmeno il Quirinale s’impegnò così tanto.

 

Così Giorgia Meloni, assecondando un rapporto schietto e di reciproca stima, ha poi garantito a Mario Draghi un’opposizione leale, di spirito repubblicano, per così dire, se non addirittura morbido. Un’intesa sottile, fondata sulla correttezza non solo formale, che la questione ucraina, con il rifinanziamento degli aiuti militari, ha poi rinsaldato, confermato: da palazzo Chigi informavano Meloni con una certa costanza, e Meloni dava a sua volta consigli strategico-parlamentari.

 

Persino adesso, che pure potrebbe e le converrebbe, al punto che alcuni suoi collaboratori glielo suggeriscono, la leader di Fratelli d’Italia non pizzica e non attacca il premier dimissionario sulla questione dell’energia e delle bollette salatissime, sulla scrittura (non perfetta) del famoso decreto che tassa gli extraprofitti, il provvedimento che le aziende elettriche stanno impugnando, rifiutandosi di pagare, contribuendo così a complicare la gestione della più preoccupante e intricata emergenza del nostro tempo. I buoni rapporti tra Giorgia Meloni e Mario Draghi non sono un mistero, ma alimentano  delle leggende.   

 

E infatti il presidente del Consiglio, che per stile (e anche per calcolo) non vuole in alcun modo essere trascinato all’interno della campagna elettorale né da Calenda né da nessun altro, è un po’ infastidito dalla letteratura intorno ai suoi contatti con Giorgia Meloni. D’altra parte, persino nei corridoi di Palazzo il rapporto tra i due si arricchisce di particolari falsi o verosimili, alimenta una specie di fantozziano telefono senza fili per cui ieri, per esempio, c’era chi raccontava con assoluta certezza che palazzo Chigi avesse consultato Meloni sulla vendita della compagnia aerea Ita al consorzio guidato dal fondo americano Certares.

 

E che insomma Meloni, contraria a Lufthansa, avesse contribuito in qualche modo a una scelta che in realtà è puramente tecnica, nonché segreta nei dettagli, e che dipende da valutazioni della direzione “partecipazioni statali” del ministero dell’Economia. La verità, come sempre, è a metà strada: Draghi, che potrebbe anche non uscire dal sistema istituzionale, ha interesse a mantenere rapporti corretti con una personalità ai vertici della politica, e Meloni, consapevole dell’impresa (o del guaio) che l’attende da possibile vincitrice delle elezioni, ha interesse ad ascoltare le valutazioni su politica monetaria, debito pubblico e vincolo di bilancio di un ex governatore della Bce che è anche, per soprammercato, l’italiano più stimato all’estero.

 

Difatti, alla leader, in realtà non dispiacciono nemmeno le leggende sul suo rapporto con Draghi. Servono. Tranquillizzano. Anestetizzano gli scetticismi. Sono utili ad assecondare la sua graduale transizione dal sovranismo al conservatorismo. Ragione per la quale, per esempio, lei è attenta a ogni virgola contenuta nel programma del suo futuro governo, un testo che viene letto e tradotto dagli investitori internazionali.

 

Draghi, a Rimini, pochi giorni fa, si è detto sicuro che “l’Italia ce la farà con qualunque governo”. E Meloni che teme il debito pubblico arrivato al 150 per cento nel rapporto con il pil ed è preoccupata dalla speculazione, vorrebbe accanto a sé un rassicurante pezzettino di Draghi, nella figura autorevole di Fabio Panetta ministro dell’Economia. Niente di misterioso, o di esoterico. Draghi non è il tutor di Meloni e Meloni non è discepola di nessuno. È solo politica.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.