La ciminiera di una centrale elettrica a gas (Getty Images)

Il caro bollette è un test sul pragmatismo della politica. Vedi alla voce debito buono

Gianfranco Librandi

L'apertura tedesca al tetto al prezzo del gas e l'intenzione della Commissione europea di riformare il mercato dell'energia sono ottime notizie, ma il 2023 sarà l'anno in cui lo stato italiano dovrà fare debito buono per superare la dipendenza energetica da Mosca

Al direttore - Il vertiginoso aumento del prezzo del gas e, con esso, dell’elettricità rafforza uno scenario di incertezza e sofferenza. Il costo dell’energia è oggi un peso insostenibile per le famiglie e le imprese del nostro paese. Ogni giorno, noi imprenditori dobbiamo compiere sforzi enormi per far quadrare i conti, tenere in piedi le aziende e preservare i posti di lavoro. Le recessioni e le difficoltà fanno parte del ciclo economico, ne siamo consapevoli. Ma oggi, senza alcuna recriminazione, la verità è che stiamo davvero navigando a vista nella tempesta perfetta.

 

In questo momento, la priorità delle istituzioni europee e nazionali non può che essere il sostegno incondizionato di famiglie e imprese. Abbiamo tutti appreso con soddisfazione dell’apertura di Berlino sulla proposta di Mario Draghi per un tetto al prezzo del gas, così come la concreta possibilità che la Commissione operi il disaccoppiamento dei prezzi di gas ed elettricità, legame che oggi rappresenta solo un appiglio alla speculazione. Due buone notizie da lei puntualmente riportate sulle pagine del Foglio. Mi permetto di aggiungere alla sua analisi una riflessione che riguarda la relazione tra debito – quello buono, e non in salsa salviniana – e politica energetica.

 

,Una stima realistica dello stanziamento da affrontare per sterilizzare per un anno gli aumenti delle bollette in Italia è di circa cento miliardi di euro. Una cifra enorme – e auspicabilmente generosa – che equivale a circa il 5,5 per cento del pil e trova spiegazione nelle dinamiche di importazione e consumo di gas, dell’andamento dei mercati e della nuova politica energetica inaugurata dal premier Draghi. In ogni caso, qualsiasi sia l’importo che concretamente il nuovo governo dovrà stanziare, è indubbio che per tutto il 2023 solo un massiccio intervento dello stato potrà scongiurare recessione e crisi, con il rischio di blocco produttivo per centinaia di aziende e di cassa integrazione per migliaia di lavoratori.

 

Chiaro che dovrà trattarsi di un intervento limitato solo al prossimo anno, ovvero il tempo necessario a sostituire il gas russo con fonti alternative. Le evidenze suggeriscono che il 2023 sarà il vero ostacolo da superare e, pertanto, anche investimenti a debito sarebbero giustificati dalla congiuntura. Non solo, ma l’opportunità di nuovo debito potrebbe essere avallata dal contemporaneo sblocco integrale degli iter autorizzativi per le rinnovabili. Ad oggi, circa 1500 impianti, tra eolico, fotovoltaico e biomasse, sono bloccati dalla burocrazia. Questi sono fondamentali non solo per il raggiungimento della soglia di 80 GW di rinnovabili entro il 2030, ma anche per rendere sostenibile il nuovo corso energetico dell’Italia e per “assicurare” il debito necessario a superare la più tremenda crisi dell’ultimo secolo. E’ ora di darsi da fare per evitare crisi e disoccupazione. Abbiamo le soluzioni in casa e alla nostra portata. E forse, dopo l’illuminata parentesi Draghi, abbiamo anche finalmente compreso la differenza tra un debito buono e uno cattivo.

  

Gianfranco Librandi, imprenditore

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