Le convergenze destra-sinistra sulle pensioni

Luciano Capone

Salvini e Berlusconi sulla stessa lunghezza d'onda di Bonelli e Fratoianni (Quota 41 e minime a 1.000 euro), con l'appoggio esterno dei sindacati. Meloni più cauta come Letta. Il rosso e il nero si mescolano, ma il conto rischia di essere comunque insostenibile per il sistema pensionistico

Sebbene le emergenze del paese siano la crisi energetica, l’inflazione e le potenziali ricadute industriali e occupazionali di un costante aumento dei prezzi del gas o di razionamenti dovuti alla sua scarsità, in cima alle promesse dei partiti in campagna elettorale ci sono sempre le pensioni. La cosa più normale, a quattro mesi dalla fine di Quota 102, pensata dal governo Draghi come tappa intermedia per spezzare lo “scalone” prodotto da Quota 100, sarebbe un ritorno alla riforma Fornero, magari con qualche meccanismo di flessibilità non oneroso per lo stato. Ma i partiti hanno grandi progetti di riforma, molto costosi, e in contraddizione con quelli dei propri alleati.

 

Chi più di tutti spinge sull’anticipo pensionistico, anche attraverso una costante criminalizzazione dell’ex ministro Elsa Fornero, autrice della riforma delle pensioni di cui i governi italiani di tutti i colori si fanno vanto all’estero ma che poi attaccano in patria senza essere capaci di abolire, è Matteo Salvini. Il leader della Lega propone Quota 41, variante molto più onerosa della fallimentare Quota 100 che avrebbe dovuto creare tre posti di lavoro per ogni pensionato e invece ha prodotto a malapena un nuovo occupato ogni tre pensionati. La proposta di Salvini, ovvero la possibilità di andare in pensione per chi abbia 41 anni di contributi a prescindere dall’età, secondo le stime dell’Inps costa una media di 7,5 miliardi di euro all’anno per dieci anni. Più in avanti si spinge Silvio Berlusconi che promette "pensioni di almeno 1.000 euro al mese per tutti, anche a chi non ha mai potuto pagare contributi come le nostre mamme e le nostre nonne”. La proposta del leader di Forza Italia, che non è ben specificata, costa circa 20 miliardi di euro all’anno.

 

Ma la divisioni sul tema delle pensioni non sono nette tra gli schieramenti, ci sono piuttosto surreali alleanze o convergenze intrecciate. Perché ad esempio nel centrodestra Giorgia Meloni, probabilmente perché si sente maggiormente investita della responsabilità di governo e dei conti pubblici, smonta continuamente le promesse irrealizzabili dei suoi due alleati. Non a caso nel programma del centrodestra, quello vincolante perché sottoscritto da tutti i partiti della coalizione, ci sono riferimenti generici all’“innalzamento delle pensioni minime, sociali e di invalidità” e alla “flessibilità in uscita dal mondo del lavoro e accesso alla pensione, favorendo il ricambio generazionale”, senza alcuna promessa specifica. Più in sintonia con la posizione prudente di Fratelli d’Italia c’è, paradossalmente, Enrico Letta. Nel programma del Pd, infatti, si parla di “una maggiore flessibilità nell’accesso alla pensione, a partire dai 63 anni di età, da realizzarsi nell’ambito dell’attuale regime contributivo e in coerenza con l’equilibrio di medio e lungo termine del sistema previdenziale”. In sostanza si tratta di piccoli correttivi, senza uscire dal perimetro della riforma Fornero, con qualche attenzione per i più giovani con una “pensione di garanzia” per chi ha carriere discontinue e Ape sociale per i lavori gravosi e usuranti.

 

Simmetricamente, gli alleati di Letta hanno lo stesso programma degli alleati della Meloni. Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, infatti, avanzano le stesse proposte di Salvini e Berlusconi. Nel programma di Sinistra italiana e Verdi si parla di abolizione della riforma Fornero (“l’attuale sistema pensionistico non è socialmente sostenibile”), Quota 41 come vuole la Lega (“noi proponiamo che si possa uscire dal lavoro a 62 anni o con 41 anni di contributi”) e minime a mille euro come propone Forza Italia (“la pensione minima non dovrebbe essere inferiore a 1.000 euro”). A supporto di questa inedita alleanza destra-sinistra, ci sono anche i sindacati. La piattaforma di Cgil, Cisl e Uil è infatti da molto tempo la stessa di Salvini: Quota 41. Il problema è che il Pd, che si oppone al programma sfasciaconti della Lega, ha candidato Susanna Camusso (capolista in Campania) e Annamaria Furlan (capolista in Sicilia) che però da ex segretarie generali rispettivamente della Cgil e della Cisl sono favorevoli a Quota 41. È invece contrario alla proposta sindacal-salviniana un sindacalista anomalo, l’ex leader dei metalmeccanici della Fim-Cisl Marco Bentivogli, che però il Pd ha candidato in un collegio uninominale tutt’altro che sicuro.

 

A completare il quadro c’è il M5s di Giuseppe Conte che propone pensione anticipata per le mamme lavoratrici, superamento della legge Fornero ampliando le categorie dei lavori gravosi e meccanismi di flessibilità. Un’eccezione è il programma del Terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi (Azione e Italia viva), che parla delle pensioni con preoccupazione per la sostenibilità rispetto all’invecchiamento della popolazione: quindi si propone il ritorno alla Fornero, ma con stabilizzazione dell’Ape sociale per lavori gravosi e usuranti.

 

In generale, attuare anche solo una parte di questi progetti così trasversali sarebbe un problema per un paese come l'Italia che ha già la spesa pensionistica più alta del mondo (16% del pil), peraltro in crescita di 0,5 punti di pil all’anno oltre il previsto fino al 2070 per effetto dello choc inflazionistico e della crisi demografica.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali