le promesse di fdi

Sulle pensioni Meloni si gioca la sua credibilità e il futuro dell'Italia

Luciano Capone

La leader di Fratelli d'Italia chiede a Salvini e Berlusconi di "non fare promesse che non si possono mantenere", ma tra Quota 41 e minime a 1.000 euro è sicuro che la destra interverrà sulle pensioni. E questo, di per sé, è un problema serio

Giorgia Meloni ha chiesto agli alleati di “non fare una campagna elettorale facendo promesse che non si possono mantenere”. Evidentemente la leader di Fratelli d’Italia, in questa fase di preparazione del programma, sente più di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi il peso della responsabilità di governo. Prevede che le promesse di oggi ricadranno soprattutto su di lei.

 

A differenza del primo governo Conte, che ha avuto quattro mesi di tempo e di spread impazzito prima di festeggiare sul balcone l’approvazione della Nadef, l’eventuale governo Meloni sarà immediatamente immerso nella sessione di bilancio e avrà poche settimane per impostare la manovra. Questo scenario ha reso inservibile la conferenza programmatica di Milano, avvenuta tre mesi fa, dove sono stati annunciati provvedimenti per oltre 80 miliardi, senza coperture. Il responsabile del programma di FdI Giovanbattista Fazzolari, interpellato su queste colonne da Oscar Giannino, ha derubricato quell’evento a “confronto su idee che avessero anche il gusto della provocazione”.  Bene che il senso della realtà prenda il posto del gusto della provocazione, ma c’è bisogno comunque di un chiarimento della linea di politica economica. Perché se l’aumento delle pensioni minime a 1.000 euro proposto sia da FdI sia da Berlusconi e la Quota 41 proposta da Salvini sono da ritenersi “provocazioni” da 30 miliardi, resta il fatto che comunque la destra intende intervenire sulle pensioni. Ma questo è di per sé un problema, perché sottrarrà risorse per lavoro, investimenti, riduzione delle tasse e crescita.

 

A fine anno scade Quota 102, lo scalino pensato da Draghi per un ritorno graduale alla legge Fornero. È una spesa molto più contenuta delle proposte della destra, che però se resa permanente aumenterebbe l’incidenza della spesa pensionistica sul pil di 0,25 punti l’anno fino al 2044. Si tratta, complessivamente, di 5,5 punti di pil (circa 100 miliardi a valori attuali). Peraltro in un contesto in cui la spesa pensionistica già aumenterà, oltre le previsioni, di 0,5 punti di pil l’anno fino al 2070, per effetto dello choc inflazionistico e della crisi demografica. Secondo l’Istat, infatti, la popolazione italiana è 1 milione più bassa rispetto alle stime, e si ridurrà da 59 milioni di oggi a 47,6 milioni di individui nel 2070 (-20%).

 

Il Fmi, nell’ultima analisi sulla sostenibilità del debito pubblico italiano, mostra che il debito è su una traiettoria discendente ma si impennerà a partire dal 2027 per l’aumento della spesa pensionistica a politiche invariate (cioè legge Fornero senza Quota 102). I rischi della spesa previdenziale più alta del mondo in un paese con un debito enorme e in crisi demografica sembrano molto lontani nel tempo, ma il problema dei sistemi pensionistici è che bastano politiche sbagliate fatte ora per produrre danni che si amplificano nei decenni. E siccome Giorgia Meloni dovrà prendere in pochi giorni una decisione che avrà conseguenze di lungo termine, farebbe bene a presentare al paese una proposta chiara prima delle elezioni.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali