Meeting di Rimini

 Il repubblicano Draghi: “Ce la faremo con qualsiasi governo”

Carmelo Caruso

Applausi, selfie, l’abbraccio con i giovani: “Siete voi la speranza della politica”. Il discorso eredità e un consiglio: “Andate tutti a votare”

Sostituirlo sarà semplice, dimenticarlo sarà impossibile. Una madre, alla figlia di nove anni, lo indicava così: “Quello è Mario Draghi, il presidente che ha risollevato l’Italia. E’ lui che vi ha fatto tornare a scuola”. Il ciellino Pietro Anzaldi, memoria del Meeting, registrava: “E’ passato un pezzo di storia. Io c’ero”. Scriveranno: “Erano italiani ruffiani, faziosi, corrivi”. E allora erano corrivi oltre seimila corpi che, alla Fiera di Rimini, padiglione D, si sono sollevati per applaudire e ringraziare un “non-candidato”  che ha invitato tutti ad “andare a votare”.  Quanto li ha pagati per farsi dire “Bravo!”? E sono tutti faziosi quelli che stanno ritagliando il suo discorso e che lo rilanciano sui social: “Voi giovani insieme riflettete, combattete, sperate, costruite. Siete voi la speranza della politica”? Ha forse offerto un collegio nel Lazio 1? Sono ruffiane anche le suore, con le loro gonne lunghe e le loro cuffie strette, che concordavano: “Protezionismo e isolazionismo non coincidono con l’interesse nazionale”; “L’Italia non è mai stata forte quando ha fatto da sola”; “Chiunque verrà eletto saprà preservare lo spirito repubblicano”? Alessandro Dall’Acqua, 17 anni, di Legnano, lo ha ascoltato e ha preso coraggio. Si è avvicinato e ha chiesto: “Presidente, lo fai un selfie?”. E Draghi: “Facciamolo”. A Rimini sono nati i “Draghi tubber”. 


Siamo fortunati nella malasorte. Dal 26 settembre ci sarà un presidente della Repubblica in carica e un italiano incaricato di custodire lo “spirito repubblicano”. Ha ragione Giorgia Meloni. Gli italiani hanno bisogno di un rapporto privilegiato, diretto con il loro presidente. Se oggi si fossero tenute le prime elezioni presidenziali le avrebbe vinte Mario Draghi. Ogni volta che un giornalista vuole parlare male di un altro dice: “E’ di parte”. Ma chi potrà dire: “Era una buona parte”? Anche Meloni avrà i suoi aedi ma quanti saranno quelli che la canteranno per convenienza e quanti per ingraziarsela e quanti ancora perché ci credono? Di solito quelli che ci credono sono i peggiori. Sono fedeli perché non sono liberi. Il vero segreto di Draghi, e a Rimini è stato stabilito una volta per tutte, non è l’agenda e neppure il metodo. Non è altro che la libertà di poter dire quello che sarebbe meglio non dire. E’ finito per piacere perché non aveva bisogno di fare nulla per piacere. E’ stato infatti spontaneo, come lui, l’applauso prolungato, nove, dieci minuti (chi scrive di più?) che lo faceva esordire così: “Mi chiedo se vado oltre la commozione …”.

 

Prima di partire da Roma, alla comunicazione del Meeting, si dice che Draghi abbia chiesto di non essere fotografato seduto al tavolo come sono stati fotografati, martedì, Meloni, Salvini, Letta. Ha accettato di stare in movimento, in mezzo ai “Draghi tubber”. Sono i ragazzi dell’organizzazione, la gioventù perbene che in questi giorni impagina il Quotidiano Meeting 2022 (scriviamo ospiti della loro redazione. Titolo del direttore: “L’Italia ce la farà”. Il vicedirettore suggerisce: “Per me è ‘Draghi votate, l’Italia ce la farà’ ma poi il direttore sei tu”), sono gli adolescenti brufoli e peluzzi, la generazione eterna del volontariato, quella dell’emozionato Alessandro che alle televisioni ha raccontato: “Non ci credo. Sono il primo italiano che si è fatto un selfie con Draghi”. Quanto ha speso Draghi per ottenere questo gradimento? Una intervista al Tg1, durante la crisi in Afghanistan, una su carta stampata, al Corriere della Sera, e per dire “che non avrebbe fatto politica”. E’ possibile insomma non doverla sparare grossa e contare qualcosa in Europa se si è credibili in Italia perché, argomentava Draghi, “la credibilità interna va di pari passo con quella internazionale. E’ con l’autorevolezza che viene il rispetto degli altri”; “abbiamo dimostrato che l’Italia è un grande paese” ma la sovranità “di cui si parla molto”, diceva Draghi, “non è dipendere per quasi metà delle proprie forniture di gas da un paese (la Russia) che non ha mai smesso di inseguire il suo passato imperiale. Questo è l’esatto contrario della sovranità”. Per diciotto mesi siamo stati autorevoli e, canterebbe qualcuno, ne “abbiamo attraversate di tempeste”. Tutti conoscono certamente la Rimini di Federico Fellini, la città de La dolce vita, della “Gradisca”, ma ce n’è un’altra.

 

E’ quella del regista Valerio Zurlini, angosciata e sfiduciata, di colore cammello, quello di Alain Delon ne La prima notte di quiete, lui, professore smarrito. Ci finiva in questa città per disperazione come l’Italia è arrivata a Draghi. Salito sul palco Draghi ha ricordato che l’Italia di diciotto mesi fa era un po’ come quella Rimini, cupa, impaurita, e senza vaccini. E però “ce l’abbiamo fatta” e “non è onesto dire che le calamità ci trovano inerti”. E’ stato in pratica Draghi a dire che ce la si può fare anche senza Draghi. Sbagliano tutti quelli che in nome suo cercano di fermare l’avanzata della Meloni. Anche contrapporre il suo discorso al programma economico di Matteo Salvini è quanto di più sciocco si possa fare. Per Draghi dire che il posto dell’Italia “è al centro dell’Unione europea e all’interno del Patto atlantico” non è “strigliare Salvini” ma dire quello che pensano tutti gli italiani con le corde a posto, compresi gli elettori di Salvini. Una volta un giornalista petulante voleva infatti fare litigare Draghi con Salvini e un’altra volta con Giuseppe Conte. La fece franca la prima ma venne fermato dal suo staff la seconda: “Se Draghi parla di Conte si alza il blasone di Conte”.

 

Uno dei passaggi più felici del premier uscente è stato quello sull’evasione che “non va tollerata né incoraggiata”, ma titolare “Draghi contro Salvini” è una stupidaggine. Salvini è fantasioso, è il leader “game boy”. Ha lanciato perfino una app: “Ecco l’app Flat tax e scoprirai quanto risparmieresti con il sistema fiscale della Lega” e molto probabilmente Draghi se la ride come tutti i nonni che non temono l’avvenire, i venditori di apocalissi: “Uh, ne abbiamo viste tante”. Il suo speciale decreto legge è aver impedito ai partiti di utilizzare gli extraprofitti sul suo nome. Come Indro Montanelli: “La mia eredità sono io”. 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio