(foto LaPresse)

Non basta schierarne un po', servono idee

È arrivato il momento di trattare i giovani da adulti. Un appello ai partiti

Claudio Cerasa

Sono stati i più responsabili e i più penalizzati durante il Covid. Una politica miope ha scaricato su di loro miliardi di debiti futuri. Basta programmi populisti. Cosa vuol dire non disperdere una lezione di Draghi

Quand’è che la politica inizierà a trattarli da adulti? Hanno pagato le maggiori conseguenze economiche del Covid per proteggere i più anziani, pur essendo tra quelli che durante la fase più acuta della pandemia hanno corso meno rischi. Hanno perso il lavoro più dei loro colleghi più grandi, perché durante la pandemia i posti di lavoro più fragili erano proprio quelli più diffusi nella loro categoria. Hanno dovuto fare i conti con un logoramento della propria formazione, e dunque del proprio capitale umano, facendo i conti con una chiusura prolungata delle scuole, con un’infinita sessione di lezioni online, con una interminabile stagione di insegnamenti da remoto. Hanno mostrato una responsabilità senza precedenti durante la fase più drammatica della pandemia, scegliendo di vaccinarsi in massa senza ascoltare le irresponsabili sirene del populismo negazionista. Hanno ascoltato per anni le balle di molti politici, che hanno offerto in modo truffaldino agli elettori proposte indirizzate a sostenere i pensionati spacciandole per proposte indirizzate a favorire l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani, diffondendo la menzogna che a ogni pensionato in più coincidesse un giovane occupato in più.

 

E ora, a meno di un mese e mezzo dalle elezioni, loro, i giovani, gli under 30, ma non solo loro, sono lì a osservare con un mix di stupore e di rassegnazione le proposte dei partiti. Partiti che mentre dicono di voler agevolare il futuro dei giovani promettono di dilapidare decine di miliardi di debito pubblico con le ennesime promesse sulle pensioni da anticipare. Partiti che mentre dicono di voler agevolare il futuro dei giovani promettono di dilapidare decine di miliardi di debito pubblico con le ennesime promesse sui bonus. Partiti che, per esempio, parlano poco di come rafforzare gli Istituti tecnici superiori (dove i tassi di occupazione tra i diplomati sono molto elevati e dove il 92 per cento degli studenti, ha ricordato Mario Draghi un anno fa, “trova un lavoro coerente con il proprio percorso di studi”). Partiti che, per esempio, parlano poco di come completare la riforma del reclutamento dei professori della scuola e delle università avviata ma non completata dal governo Draghi (perché senza avere bravi insegnanti i ragazzi a scuola rischiano di perdere tempo). 


Partiti che, per esempio, parlano poco di come creare un sistema di prestiti dedicati agli studenti (offerti dalle banche ma garantiti dallo stato con interesse e rimborso legato al proprio percorso nel mercato del lavoro, come succede nel Regno Unito). Partiti che, ancora, parlano poco di come creare un sistema di incentivi che incoraggi gli studenti a impegnarsi in un qualche lavoro durante la propria vita universitaria (come succede in Germania). Partiti che non si rendono conto, per esempio, che non basta schierare giovani in campagna elettorale per dimostrare di essere vicini ai giovani, perché il Parlamento che ha rappresentato l’Italia negli ultimi quattro anni e mezzo è riuscito ancora prima della pandemia a scaricare miliardi e miliardi di debito pubblico cattivo sulle povere spalle dei giovani nonostante fosse il Parlamento anagraficamente più giovane nella storia della Repubblica. Partiti che mentre dicono di voler agevolare il futuro dei giovani dimenticano di spiegare in che modo intendono usare le poche risorse che ha a disposizione l’Italia per offrire ai giovani ciò che oggi i giovani chiedono. Non più sussidi, non più bonus, non più quote 100, ma semplicemente più occasioni per lavorare, più possibilità di veder premiato il merito, più opportunità di avere salari migliori di quelli che esistono oggi.

 

Nel corso della sua esperienza a Palazzo Chigi, Mario Draghi ha tentato più volte di offrire alla politica ragioni per cambiare rotta, su questo fronte, indicando strade alternative per il futuro rispetto a quelle imboccate nel passato. Draghi, due anni fa al Meeting di Rimini, ha detto che la politica, e anche la sua generazione, è stata nei confronti dei giovani “egoista”. Ha ricordato che più i governi si concentreranno sui sussidi e più avranno la certezza di scaricare il costo delle proprie trovate sulle spalle dei giovani. Ha ricordato che per troppo tempo l’egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi di immediato ritorno politico. Ha affermato che privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza. Ha ammesso che il debito creato con la pandemia è senza precedenti e dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono oggi i giovani e che per questo è “nostro dovere far sì che abbiano tutti gli strumenti per farlo pur vivendo in società migliori delle nostre”.

 

Ha ricordato, poi, che ogni spreco oggi, ogni mancanza di efficienza, è un torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti. Ha affermato, infine, che quando deludiamo i nostri giovani costringendoli a emigrare da un paese “troppo spesso lo facciamo perché rinunciamo a combattere per avere un paese capace di valutare il merito”. Un’agenda Draghi, per sostenere i giovani senza spacciare politiche dedicate ai pensionati come se fossero misure per sostenere i giovani, è esistita ed è stata importante. Capire cosa faranno i partiti, su questo fronte, può essere utile per orientarsi in campagna elettorale e per provare a rispondere a una domanda difficile: quand’è che i partiti inizieranno a trattare i giovani semplicemente da adulti e non come vacche da mungere, sostituendo alla strategia della pensione la politica delle opportunità? Abbiamo posto la domanda a tutti i partiti e quelle che trovate qui sono le loro risposte. Buona lettura. 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.