(foto Ansa)

L'Italia è più forte del catastrofismo

Claudio Cerasa

Dal lavoro alla crescita (boom). Dal commercio fino all’export di energia. E poi il nuovo segno sull’inflazione. L’Italia tra record e paure. Come si spiega la vivacità della nostra economia, nell’attesa che tutto vada male

E invece no. Sono mesi che osserviamo il futuro economico nel nostro paese con uno sguardo cupo, rassegnato e apocalittico, immaginando dopo l’estate di dover fare i conti con un autunno socialmente molto caldo, caratterizzato da un inevitabile malcontento diffuso, da una crisi economica inarrestabile e da uno scenario ineluttabile caratterizzato da disoccupazione crescente e povertà arrembante. E’ possibile che, dopo l’estate, l’economia italiana possa incontrare grandi difficoltà. E’ possibile che la stima allarmante recapitata la scorsa settimana sul tavolo di Mario Draghi, relativa ai costi energetici previsti per l’ultimo trimestre dell’anno, più 80 per cento rispetto a questo trimestre, possa essere concreta e possa avere un impatto drammatico sulla vita delle medie e grandi industrie energivore italiane (il governo, a quanto risulta al Foglio, è pronto a promuovere un’operazione straordinaria di ricapitalizzazione dell’Ilva, insieme naturalmente con i proprietari di ArcelorMittal). E’ possibile che tutto questo si realizzi, con gli effetti catastrofici preannunciati, ma nell’attesa che una calamità arrivi, da mesi l’economia italiana continua a offrire sorprese che potrebbero permettere di tenere lontani chissà per quanto gli scenari di decrescita, di crisi e di miseria. Ieri l’ultimo caso, incoraggiante, forse persino esaltante.

A giugno 2022, dice l’Istat, gli occupati in Italia sono cresciuti di 86 mila unità e sono tornati sopra quota 23 milioni. In un anno la crescita degli occupati è stata di 400 mila unità. Sono cresciuti sia gli occupati uomini (+41 mila) sia le donne (+44 mila). Sono diminuiti gli inattivi (-91 mila). E si sono infranti alcuni record. Il tasso di occupazione cresce al 60,1 per cento, il più alto da quando esistono le serie storiche. Il numero di occupati a tempo indeterminato sale di 116 mila unità e anche qui tocca il record da quando esistono le serie storiche, crescendo di 194 mila in un anno. Sintesi offerta da Francesco Seghezzi, giuslavorista e presidente di Fondazione Adapt: “Dati buoni determinati dal miglioramento delle condizioni economiche (riduzione Cig?) che premiano giovani tra 24-35 anni con occupazione a tempo indeterminato per uomini e donne”.

 

Si dirà: ma il lavoro è un caso, un’isola felice in un mare in burrasca, nulla che possa veramente inquadrare il vero stato dell’economia italiana. Possibile che sia così. Possibile però che alcuni indizi raccolti in questi mesi indichino qualcosa di diverso rispetto alla dinamicità dell’Italia e alla sua capacità sistematica di mostrare punti di forza laddove in molti tentano di valorizzare solo i suoi punti di debolezza. Qualche esempio, riavvolgendo il nastro di qualche settimana. Il 7 luglio il centro studi Prometeia rivede al rialzo le previsioni sull’andamento del pil italiano nel 2022, portandole a più 2,9 per cento dal 2,2 stimato a marzo e rivedendo invece al ribasso le previsioni per il 2023, da più 2,5 per cento a più 1,9 per cento. Il 18 luglio, nonostante la guerra, l’Istat segnala una vitalità della globalizzazione, per l’Italia, superiore a qualsiasi previsione, con un export aumentato su base annua del 29,5 per cento.  

Il 27 luglio, il Fondo monetario internazionale rivede al ribasso le stime di crescita degli Stati Uniti e dell’Eurozona, già a partire da quest’anno, rispettivamente di 1,4 punti percentuali e 0,2 punti percentuali rispetto alle stime di aprile, e rivede al rialzo le stime di un solo paese del G7, l’Italia, aumentando le stime di aprile di 0,7 punti e portandole a un +3 per cento nel 2022. Il 29 luglio, l’Istat migliora ancora le stime di crescita dell’Italia prevedendo una crescita annua pari al 3,4 per cento, 0,8 punti percentuali in più rispetto alla stima precedente. Il 29 luglio, l’Istat, nota che l’inflazione, su base annuale, promette di essere ancora molto alta, a luglio la crescita annuale acquisita è pari al 6,7 per cento, ma intanto per la prima volta da qualche mese a questa parte l’Istat registra anche un segnale interessante: la riduzione a luglio dell’inflazione di un decimo di punto percentuale rispetto al mese precedente, una stima che confermerebbe quanto detto a fine maggio dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco, secondo cui l’inflazione “già nel 2023 mostrerebbe una decisa flessione, per tornare attorno al 2 per cento nel 2024”. E poi, ancora, il turismo, con 30 milioni di italiani in vacanza, come da stima fatta il 31 luglio dall’Osservatorio Turismo di Confcommercio, riportata dal Sole 24 Ore, e infine un altro dato spesso sottovalutato che riguarda un altro dettaglio interessante delle nostre esportazioni: quelle di gas dell’Italia. Da gennaio a maggio, ha calcolato il 15 luglio il sito Altraeconomia, sono aumentate del 578 per cento rispetto al 2021, più 278 per cento rispetto alla media degli ultimi 10 anni.

Tutto questo per dire cosa? Per negare che l’Italia, dopo l’estate, potrebbe avere dei problemi, quando il prezzo dell’energia continuerà a salire? Ovviamente no. E allora, si chiederà il lettore incuriosito forse dal nostro ottimismo, per dimostrare che cosa? Per dimostrare che – con il sostegno dell’Europa, l’utilizzo non irresponsabile del  debito pubblico, il supporto primario delle imprese più globalizzate e più votate all’export, una piccola dose di iniezione populista come quella del Superbonus e un utilizzo pragmatico delle sue risorse energetiche grazie a una felice combinazione tra governi avveduti, gasdotti a mai finire e società energetiche ben introdotte nel Mediterraneo – l’Italia potrebbe avere risorse inaspettate per affrontare il prossimo autunno caldo senza isteria, senza drammi e persino con un pizzico di eretico ottimismo. A condizione, ovviamente, che la stagione dei pieni poteri populisti non rubi prepotentemente la scena alla stagione dei pieni doveri riformisti a colpi di scostamenti, promesse irresponsabili e debito pubblico usato per sostenere più i propri follower che la crescita italiana. Andrà tutto male, probabilmente, ma nell’attesa che tutto vada male riconoscere cosa funziona, beh, male non fa.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.