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La forza dei vincoli

L'Europa è la cartina di tornasole che smaschera l'asino sovranista. Svegliarsi

Claudio Cerasa

Quando sentirete in campagna elettorale risuonare, nel centrodestra, la frase “vogliamo un’Europa confederale” sappiate che dietro lo slogan si nasconde un imbroglio: l’idea di un’Europa meno integrata, più disgregata, non in grado di trasformare la stagione dei doveri in un’opportunità

Vale per il passato, vale per il presente e vale per il futuro. E alla fine il punto è sempre quello, quando si parla di politica: è l’Europa a fare la differenza, è l’Europa a dettare i ritmi, è l’Europa a smascherare le ipocrisie, è l’Europa a smussare gli angoli, è l’Europa a mettere in evidenza cosa è estremismo e cosa non lo è. Vale per il passato, vale per il presente e vale per il futuro. Vale quando si parla di realtà politiche che fingono di essere distanti, come i partiti di Carlo Calenda e Matteo Renzi, che in Europa sono già alleati da anni sotto le insegne macroniane di Renew, ma vale anche quando si parla di realtà politiche che fingono di non essere distanti, come le forze politiche del centrodestra, e che però è proprio in Europa che non riescono a camuffare le proprie ambiguità, le proprie contraddizioni, le proprie differenze.

 

E’ quando parlano d’Europa che i programmi di centrodestra diventano più vaghi che mai, come dimostra la lenzuolata che pubblichiamo oggi sul Foglio, dove l’Europa viene trattata dalla coalizione del centrodestra in modo vago, generico, incerto, volutamente ambiguo (“un’Unione europea più politica e meno burocratica”, “tutela degli interessi nazionali nella discussione dei dossier legislativi europei”, “centralità dell’Italia nell’area mediterranea”, con molti saluti ad Antani). Ed è quando si parla d’Europa che il centrodestra mostra periodicamente la difficile compatibilità di governo tra forze politiche come la Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, con i primi alleati al Parlamento europeo con partiti che non rinnegano il proprio passato putiniano (l’AfD), con i secondi alleati con partiti che sognano di aprire l’Europa come una scatoletta di tonno (Vox) e con i terzi alleati con partiti (quelli del Ppe) che considerano gli alleati di Vox e dell’AfD come dei mali assoluti da combattere con tutta l’energia a disposizione (nel 2020, l’ex leader della Cdu tedesca, Annegret Kramp-Karrenbauer, scelse di dimettersi dalla guida del partito dopo non essere riuscita a impedire alla Cdu, in Turingia, di stringere un patto con l’AfD).

 

E così, in questi anni, è stata sempre l’Europa a mettere in evidenza le incompatibilità con la realtà delle forze politiche che hanno tentato di allontanare l’Italia dal  suo centro di gravità europeo. E’ successo, in questi anni, all’inizio della legislatura, con il governo antieuropeista nato sotto i colori del giallo e del verde in almeno quattro occasioni diverse. La prima: il no di Sergio Mattarella a un ministro antieuropeista, Paolo Savona. La seconda: il no degli investitori internazionali, via spread, all’idea di sforare il deficit più del consentito nell’autunno del 2018. La terza: la caduta del governo gialloverde sul voto legato a un’infrastruttura europea, come la Tav, sulla quale i populismi si sono divisi in modo traumatico. La quarta: la scelta, durante la stagione gialloverde, da parte del M5s di votare con i propri europarlamentari per una presidente della Commissione di centrodestra, Ursula von der Leyen, invisa invece alla Lega. E’ stata l’Europa, in questi anni, a mettere di fronte ai populisti per così dire di governo i loro limiti e le loro incompatibilità con la realtà. E’ stata l’adesione ai valori non negoziabili dell’Europa, se vogliamo essere sinceri, ad aver creato un precario ma non inutile collante tra il M5s e il Pd tra il 2019 e il 2021, ai tempi del Conte 2. Ed è stata l’Europa, nel febbraio del 2021, ad aver contribuito ad agevolare il passaggio tra il secondo governo Conte e il primo  governo Draghi, essendo l’Europa lo specchio perfetto dell’incapacità, da parte del governo Conte, di saper elaborare un piano ambizioso, e credibile, rispetto al dossier del  Pnrr.  

 

E’ stata l’Europa, poi, per l’europeo Draghi, la cartina al tornasole delle potenzialità della sua maggioranza di governo, e anche dei suoi limiti, ed è stata l’Europa per Matteo Salvini, il leader della Lega, la ragione per cui sarebbe stato difficile continuare a sostenere fino alle elezioni il governo Draghi – perché per un leader più di lotta che di governo, convinto da tempo immemore che l’antieuropeismo non sia un virus, che la solidarietà in Europa sia un problema e che l’euro non sia irreversibile, presentarsi alle elezioni imbrigliato nell’europeismo di Draghi sarebbe stato un guaio troppo difficile da governare (e a sua volta, nella Lega, è l’Europa a dividere il fronte dei governatori da quello salviniano, con i primi desiderosi di avvicinare la Lega al Ppe e con il secondo deciso a non allontanare la Lega degli estremismi modello AfD).

 

E dunque, sì, c’è l’Europa al centro di tutto, quando si parla di politica in Italia, e c’è l’Europa anche al centro di questa campagna elettorale. Per almeno due ragioni diverse. La prima, banale, riguarda l’incredulità che desta vedere i partiti europeisti bisticciare sul nulla, sui dettagli, quando di fronte a loro s’avanza una minaccia esplicita, che coincide con la presenza sul terreno di gioco di una destra antieuropeista. La seconda, più interessante, riguarda l’incapacità da parte della destra di nascondere il suo profilo più estremista proprio quando si parla di Europa. E la ragione, anche qui, è estremamente semplice. La destra può passarsi tutti gli strati di cipria che crede, può tentare di offrire un volto più rassicurante, può tentare di presentare se stessa con un volto più moderato, può tentare di spacciarsi come un argine agli estremismi, ma la destra, quella più nazionalista, non ha alcun tipo di possibilità di risultare anche lontanamente credibile quando parla d’Europa. E’ qui che la destra mostra il suo vero volto. E’ qui che la destra, come è successo già mesi fa in Francia con Marine Le Pen, tende a mostrarsi per quello che è: una forza politica unitaria che considera la solidarietà europea utile solo quando si tratta di trasformare l’Europa in un bancomat e perfettamente inutile quando si parla di regole da condividere, di sovranità da ridefinire, di impegni da rispettare. Ed è qui che casca l’asino antieuropeista. Senza integrazione, senza solidarietà, senza interdipendenza, senza cessione di sovranità, l’Europa esiste solo come feticcio, esiste solo come idea astratta. Viceversa un’Europa desiderosa di difendersi dalle emergenze del mondo, desiderosa di affrontare i giganti del mondo muovendosi più da elefante che da topolino, è un’Europa che ha bisogno di costruire tutto quello che i finti europeisti mai proporranno di fare in campagna elettorale:  assi, alleanze, accordi, patti, coalizioni per poter proteggere i propri cittadini, e anche i propri elettori, dalle minacce esterne.

 

L’integrazione europea, ha scritto con saggezza qualche giorno fa sul Sole 24 Ore il professor Sergio Fabbrini, è stata, per l’Italia, la condizione dello sviluppo economico, oltre che della sua stabilità democratica. Allo stesso tempo, l’esistenza di un mercato unico sovranazionale ha consentito al nostro paese di divenire il secondo paese manifatturiero dell’Ue e l’esistenza di istituzioni giuridiche sovranazionali hanno spinto l’Italia ad alzare il proprio standard liberale di protezione dei diritti individuali. Senza interdipendenza non c’è sovranità europea. E senza sovranità europea non ci sono risposte forti a problemi globali. La nostra sovranità, ha detto più volte Mario Draghi in questi mesi, può rafforzarsi solo attraverso una gestione condivisa delle sfide comuni.

Quando sentirete in campagna elettorale risuonare, nel mondo del centrodestra, la frase “vogliamo un’Europa confederale” sappiate che dietro quella frase si nasconde un imbroglio: l’idea di un’Europa meno integrata, più disgregata, meno in grado di trasformare la stagione dei doveri in un’opportunità per affrontare con più forza le grandi sfide globali e più simile all’Europa che avrebbe voluto costruire Marine Le Pen che a quella che avrebbe voluto rafforzare Mario Draghi. Seguire l’Europa per capire il destino dell’Italia,  con i suoi punti di forza,  le sue contraddizioni, le sue potenzialità, i suoi populismi irreversibili. Vale per il passato, vale per il presente e vale per il futuro: quando si parla d’Europa essere ambigui significa essere irresponsabili ed essere irresponsabili sull’Europa significa essere pericolosi. Vale la pensa pensarci. Vale la pena svegliarsi. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.