Il tradimento di Calenda può essere un bene anche per il Pd

Salvatore Merlo

Il leader di Azione può diventare un magnete che attrae voti dal centrodestra, mentre i dem acquistano un fortissimo richiamo da partito unico della sinistra italiana. Nell’Italia politica da sempre si stringono falsi patti per poi romperli, e dalle capriole e dai voltafaccia è spesso venuto fuori anche qualcosa di buono

Ora costruirà forse il terzo polo, con Matteo Renzi, i contatti sono già in corso. E non è detto che Carlo Calenda stracciando il patto che pure aveva siglato appena qualche giorno fa con Enrico Letta non abbia fatto un favore (oltre che a sé stesso) anche al Partito democratico che aveva scelto la strada contraddittoria di un’alleanza tra draghiani e antidraghiani, pro Nato e anti Nato, contestatori del rigassificatore di Piombino e sostenitori del rigassificatore di Piombino. “Letta potrebbe fare il nucleare solo nel maggioritario e le pale eoliche nel proporzionale”, ironizzava tre giorni fa Antonio Polito, riferendosi all’adozione del metodo “diritto di tribuna” da parte del Pd. E rendeva l’idea. Adesso, come dice Salvatore Vassallo, politologo, professore ordinario a Bologna, Calenda può diventare un magnete che attrae voti dal centrodestra. Mentre il Pd acquista un fortissimo richiamo da partito unico della sinistra italiana con Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Difficile recuperino Giuseppe Conte, anche se mai dire mai, perché come diceva Ciriaco De Mita “prima si conta e poi si ragiona”. E nel Partito democratico già c’è chi come Goffredo Bettini spera e lavora per recuperare anche il Movimento 5 stelle (“Non avevo dubbi sull’inaffidabilità di Calenda: ma raccoglieremo di più di quanto abbiamo perso”).

 

Dunque in realtà sbaglia il Pd adesso a evocare, contro Calenda, le categorie morali dell’onore, della parola data, della mano stretta, del tradimento e della menzogna. E non solo perché nell’Italia politica il tradimento ha un’eternità di foresta, ovvero da sempre si stringono falsi patti per poi romperli, ma anche perché dagli innumerevoli tradimenti italiani, dalle capriole e dai voltafaccia, nel paese in cui la via più rapida tra due punti è il nodo sabaudo, è spesso venuto fuori anche qualcosa di buono.

 

Lutero ed Erasmo teorizzavano l’esistenza della bugia bianca e della bugia nera, spiegando che la bugia piccola è talvolta giustificata quando serve per spianare la strada alle grandi verità. Ma senza dover ricorrere a grandi pensatori e alle impegnate categorie della morale cui fa ricorso il Pd, si parva licet, tutto questo precipita a pennello nel disgraziato teatro politico italiano. Non da oggi.
   

D’Alema fregò (Occhetto, Prodi, Di Pietro, Marini, Cofferati, Berlusconi…), e si fece fregare (Veltroni, Prodi, Bossi, Berlusconi…), Renzi fregò Letta scippandogli il governo, più di recente Letta ha provato a fregare Renzi isolandolo al centro, esattamente come stava per tradire anche Di Maio per accontentare proprio Calenda che poi però adesso l’ha tradito a sua volta. Ma il traditore D’Alema si fece poi difensore nel 2006 del tradito Prodi (per poi ri-tradirlo nel 2015 alla corsa del Quirinale), così come il traditore Calenda potrebbe ritrovarsi al fianco del tradito Letta subito dopo le elezioni. Entrambi più forti.

 

Insomma tradimento, il voltafaccia, il mancare alla parola data, in politica non ha valore sinistro in sé. Calenda ha semplicemente capito, forse a scoppio ritardato (ma scoppiare è un verbo che gli piace), che la scelta di rimescolare le carte gli dava più forza e più chances. In fin dei conti, in questa faccenda del Pd e di Azione, di Letta e di Calenda, c’è l’Italia di sempre, che ha con il tradimento, con la furbizia e l’opportunismo un rapporto forte e stretto. Non è un bello spettacolo, ma va avanti così almeno dall’inizio della Repubblica.

 

I nostri politici contemporanei, in particolare Calenda – intelligente e insopportabile, appassionato e maleducato in eguale misura, politico furbo e nel contempo ragazzino dispettoso: un eccentrico e indistricabile garbuglio di talento e dissipazione – ci hanno soltanto aggiunto quel tanto di rapidità da social media, quell’abuso compulsivo di Twitter fatto d’impeti e sobbalzi, che accelerando a una velocità mai vista prima concorre a dare all’intera faccenda una coloritura più grottesca che nel passato. Come in una pellicola impazzita. Ma forse la verità è che il tradimento fluisce nei rapporti politici come un dono, un’incongrua benedizione. E comunque sia è probabile che i traditori non impressionino poi così tanto gli italiani. Che, se mai, disprezzano i traditi. Ai quali talvolta gridano: cornuto. Ragione per la quale chi è stato tradito oggi cercherà di recupere la faccia tradendo lui, domani.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.