(foto LaPresse)

Calenda trasforma il centrosinistra in un caso clinico: tutti scambiano Twitter per WhatsApp

Salvatore Merlo

Il capo di Azione è un'altalena di tweet, risposte, commenti sin dalla prima mattina. Così la comunicazione tra "alleati" si sposta interamente sui social. Sarebbe stato materiale di studio per il neurologo Oliver Sacks

Quell’inconfondibile aria di nuova Bad Godesberg si comincia a respirare sin dal mattino, quando Carlo Calenda, dopo essersi svegliato e aver fatto colazione, acchiappa il cellulare e inizia a twittare. Una sigaretta e un lancio. Sono le 8 precise.  “Della sorte di Di Maio, D’Incà, Di Stefano e compagnia non ce ne importa nulla. Al contrario, prima tornano alle loro professioni precedenti meglio è per il paese. Chiudiamo questa storia ora”. Bum!  Seguono altri otto tweet. Un’altalena. Uno scoppiettare vario. Si segnalano il quasi aperturista “l’intesa col Pd può essere cancellata, ma non annacquata”. Presto seguìto però dal deflagrante “ogni giorno vediamo aggiungere alla coalizione un partito zattera e iniziative incoerenti con quanto definito. Anche basta”. Questo rivolto a Fratoianni e Bonelli, il neocomunista e il verde che intanto stanno trattando con Enrico Letta. Così, inevitabilmente,  Bonelli legge e subito risponde per le rime  a Calenda.  “Il bambino va educato perché se sei viziato poi cresci male, quindi la nostra funzione è pedagogica”.  Sembra il collaudato cerimoniale nevrotico d’una riunione di condominio. Ma sui social.  

Dunque Calenda, che poco prima gli aveva detto “non c’è spazio per voi”,  si lamenta col Pd dell’aggressività delle parole di  Bonelli: “Vorrei capire se si può pensare di lavorare insieme così. Boh”. E nel tweet, Calenda si rivolge a  Enrico Letta. Che però non risponde. L’unico che si sottrae ai colleghi che scambiarono Twitter per WhatsApp, un caso clinico per il neurologo Oliver Sacks. Ma non finisce qui. Arriva pure Dario Franceschini. Sempre su Twitter. Li invita tutti a venirsi incontro. Fate pace, dice. Fermiamo la destra, aggiunge. Un po’ curiale. Un po’ antifascista.  Ma Calenda: “Il volemose bene con noi non funziona. Chiarite. Punto”.  Spericolato e temerario come un ariostesco cavalier villano. Tiè, Franceschini, bèccate questa. 

Accade tutto a una velocità mai vista, come in una pellicola impazzita. Le tifoserie si scatenano. Calenda entra nei trend del social media, così che il renziano Luciano Nobili azzarda un’interpretazione: “Calenda ha visto i sondaggi e sta ricambiando di nuovo idea”. Campione della campagna elettorale. Genio.  Un po’ sregolato, certo: “Se andiamo avanti così, ai suoi elettori servirà il Bonus psicologo”. D’altra parte quelli della destra ci bagnano il pane, ovviamente. Armata Brancaleone, zattera della medusa… Gli epiteti si sprecano.  Qualcuno giustamente si chiede: ma questi del centrosinistra perché non si telefonano invece di twittare?  Così intorno alle 11.30 cala su tutti l’ironica saggezza di Matteo Orfini: “Un hacker che manda in down Twitter per tre giorni lo abbiamo?  Magari riusciamo a completare la coalizione”. Alle 17 Letta e Calenda si vedono. Di persona.  Ecco. Appena quarantotto ore prima Calenda ringraziava Letta per aver chiuso l’accordo con lui. E gli dimostrava gratitudine per la pazienza e “per la difficoltà talvolta di trattare con il sottoscritto”. Dunque prometteva che non avrebbe più polemizzato con nessuno. “Ce la farò. Vedrete”.  Però lo diceva con l’espressione del ludopatico di talento, quello che già inizia ad avvertire i primi segni della crisi d’astinenza.   Smetto, credetemi. Impossibile. Non si può guarire da se stessi. E se sei un petardo, devi esplodere.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.