(foto Olycom)

I fallimenti di un centro senza cultura politica. Ricordi della Dc

Paolo Cirino Pomicino

La Democrazia cristiana era animata da visioni del mondo, non da logiche tattiche. Per questo il famoso terzo polo oggi avrebbe poco senso

Pochi giorni fa Francesco Cundari da queste colonne ha ricordato “l’ultimo centro”, quello democristiano a fronte dei tanti ridicoli tentativi effettuati in questi 28 anni di Seconda Repubblica. Un articolo denso di ricordi e intriso anche di ironie sulle caratteristiche dei democristiani dediti alla permanente mediazioni sino al punto di trovare “soluzioni che soluzioni non erano”.  Nonostante le mille critiche enunciate da Cundari, nel suo ricordo della Dc si avverte il rimpianto di non avere alla guida della nazione quel “più grande partito della storia unitaria del paese” che in 40 anni trasformò un paese agricolo con grandi masse popolari analfabete in uno dei cinque paesi più industrializzati del mondo. Ma perché nella Seconda Repubblica quel partito è scomparso e i suoi eredi, anche quelli già parlamentari nella Prima, hanno pesantemente fallito, privando l’Italia di quel centro politico diventato ormai il desiderio nazionale?

La risposta è semplice e terrificante a un tempo. Da anni ricordo a tutti che il termine centro senza un aggettivo qualificativo sul piano culturale è solo un segnale stradale e chi ha azzerato ogni cultura politica non potrà mai riedificare quel centro democristiano che con tutti i suoi limiti, compreso quel tanto di ambiguità costruttiva sul quale scherza Cundari, ha garantito democrazia, sviluppo e coesione sociale del paese. E’ questo dunque il punto: il centro politico esiste se vi sono partiti o liberali nel senso classico di Croce ed Einaudi o il popolarismo sturziano testimoniato da De Gasperi, Moro, Fanfani, Andreotti, Donat Cattin e De Mita, tanto per ricordare alcuni tra i tanti autorevoli dirigenti. Sono quelle culture, insomma, che danno corpo e sostanza al centro politico e senza le quali ogni tentativo di ricostituirlo finisce in una comica tragedia. 

Vorrei però che Cundari, e con lui i migliori opinionisti, capissero meglio o, se lo hanno capito, rappresentassero meglio cosa è stata la Democrazia cristiana. Quel partito laico costituito da cattolici era ricco di pensiero filosofico, economico, sociale e democratico ma privo di qualunque armatura ideologica. Era fin troppo noto ciò che ci veniva insegnato quando eravamo giovani di belle speranze,  meglio la saggezza del dubbio che non l’orgoglio delle certezze, ci dicevano giustamente. Eravamo, insomma, alla ricerca permanente del buon senso, che non era il banale pragmatismo di cui oggi, almeno a parole, il sistema politico è fin troppo pieno. Quel nostro buon senso era accompagnato in ciascuno di noi da una solida cultura e da una visione del paese e del quadro geopolitico, dei bisogni e dei diritti della nostra società ma anche dei doveri di ciascuno. Quella visione era peraltro vissuta dal corpo del partito con sfaccettature anche diverse, ed ecco allora i convegni delle correnti che partorivano pensiero e reclamavano giustamente potere. Quel partito così organizzato per 40 anni ha accompagnato l’evoluzione della società italiana senza strappi e senza forzature. Quel partito così noto per la cultura della mediazione seppe assumere all’occorrenza decisioni coraggiose e fondamentali per la democrazia italiana.

 

Dagli accordi per la Comunità del carbone e dell’acciaio (Ceca) ai patti di Roma per il primo nucleo dell’Europa comunitaria,  dal miracolo economico  alla tenuta democratica degli anni Settanta devastati dalle esagerazioni del ’68, dal terrorismo brigatista e dalla frantumazione dell’area socialista in tre partiti e infine, negli anni 80, dalla riforma della scala mobile che sconfisse l’inflazione a due cifre alla legislazione antimafia del governo Andreotti contrastata con forza dal Pci di Violante. Nella  assoluta fedeltà atlantica, quel partito seppe ritagliarsi anche una politica estera di frontiera nel Mediterraneo e nell’area mediorientale che contribuì spesso a che l’occidente ottenesse insperabili successi. 

Pagammo col nostro  sangue la  capacità di avere sempre la barra al centro, nella lotta contro il terrorismo e contro la mafia, chiamando di volta in volta  tutti al proprio dovere sino a quando un coacervo di interessi, convenienze, denaro e tradimenti, anche al nostro interno,  non costituirono un ariete che travolse con noi l’intero sistema politico partorendo l’attuale. Un sistema fasullo, quello vigente, privo di cultura ed egemonizzato da nicchie di potere finanziario di cui presto saremo costretti a fare i nomi e i cognomi perché ancora oggi pesantemente presenti nella sgangherata vita politica ed economica italiana.

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