Le primarie in Sicilia e la fine annunciata del fronte Pd-M5s

Redazione

L'europarlamentare dem Chinnici ha vinto sulla sottosegretaria grillina Floridia. Ma l'alleanza sull'isola potrebbe avere vita breve, mentre al Nazareno l'"unione" coi grillini è stata ormai archiviata. Anche da chi, come Orlando o Zanda, aveva provato fino all'ultimo a ricucire

Doveva essere la prova generale, la rampa di lancio dell'alleanza progessista. Sicilia con vista Palazzo Chigi, avevano sperato al Nazareno. È stato invece l'ultimo fuoco – fuocherello – di un progetto politico, quello tra Pd e M5s, che non è mai nato realmente e che, paradossalmente, si arena in uno dei momenti che avrebbe dovuto essere più significativo, quello delle primarie.

 

Si sfidavano l'eurodeputata dem Caterina Chinnici, la sottosegretaria grillina Barbara Floridia, vicinissima a Giuseppe Conte, e il deputato regionale Claudio Fava, esponente del movimento i Centopassi, la sinistra sinistra. Ha vinto la candidata del Partito democratico con circa il 44 per cento dei voti, seguita dalla pentastellata che ha raccolto poco meno del 32 per cento, mentre circa il 23 per cento ha scelto Fava. Hanno votato oltre 30mila siciliani.

 

Ma il dato politico è un altro: praticamente nelle stesse ore in cui le urne sancivano la candidatura di Chinnici, il segratario del Pd Enrico Letta ha chiuso a ogni possibilità di alleanza nazionale con Giuseppe Conte, lanciando il nuovo progetto anti meloniano – Democratici e Progressisti – che sarà notificato nel corso della direzione dem in programma domani. “Quel che vale a Roma, vale a Palermo”, aveva detto invece Giuseppe Conte, accusando i dem di arroganza, di “fare la politica dei due forni”.

 

Strascichi ed effetti della caduta del governo Draghi, dell'azzardo grillino che al Nazareno non hanno compreso. E così la Sicilia, che fino all'altro ieri era stato terreno di contesa, aspra, all'interno della coalizione di centrodestra, diventa la cartina di tornasole della fu alleanza progressista. E quanto possa durare questa versione locale dell'alleanza è tutto da verificare. Il sospetto che il progetto siciliano possa essere azzoppato dall'interno esiste, ed è forte.

 

Anche perché, nel frattempo, pure chi fino all'ultimo ha provato a riconciliare, a tenere insieme cià che restava del lagame tra M5s e Pd, ha dovuto prendere atto che “la frattura è insanabile”: lo ha detto per esempio Irene Tinagli, cogliendo un sentimento ormai diffusissimo nel partitio. Per la numero due dei democratici il campo largo è difinitivamente archiviato, la caduta di Mario Draghi per effetto delle manovre grilline (oltre che di quelle del centrodestra) è lo spartiacque. Occorrerà guardare altrove, a quel centro che lo stesso Pd ha spesso messo in secondo piano perseguendo un accordo coi grillini.

 

Ed è dovuto tornare sui suoi passi anche Luigi Zanda, che ancora venerdì scorso predicava in qualche misura un'alleanza tecnica- elettorale, per rispondere alle esigenze dei collegi uninominali. Il senatore ha poi corretto il tiro e in una lettera a Repubblica ha provato a risolvere alcune ambiguità: “non è possibile per il Pd presentarsi assieme al M5s alle elezioni”.

  

Le stesse con cui ha dovuto fare i conti anche Andrea Orlando, tra quelli che si è speso più di tutti negli scorsi mesi, per un rapporto strutturale con la pattuglia contiana. “I 5 Stelle? Noi non dobbiamo metterci a fare elucubrazioni sulle alleanze. Quello che è avvenuto definisce delle distanze. Il punto fondamentale però è ripartire dal Pd che non deve caratterizzarsi in funzione delle alleanze che fa ma della proposta politica che vuole mettere in campo”.  Quella proposta arriverà domani, insieme all'invito del segretario Letta che intende ripartire dall'agenda Draghi, in contapposizione al centrodestra.

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