(Foto di Ansa) 

L'intervista

“Verona razzista? Ma no. È solo un lato della città". Parla Veronica Atitsogbe, la consigliera di origini togolesi

Jacopo Strapparava

Originaria del Togo, 28 anni, laureata in Scienze politiche, un lavoro in banca. È stata la candidata più votata della lista di Damiano Tommasi, che ha strappato la città al centro-destra

“Verona razzista? Ma no. Certo, alcuni episodi hanno mostrato quel lato della città. Ma sono solo persone che riescono a fare notizia più di altre”. E se a dirlo è lei, non si può non crederci. È la veronese nera più famosa dai tempi di San Zeno, patrono della città, venuto fin qui nel IV secolo a combattere l’eresia ariana. Si chiama Veronica Atitsogbe, ha 28 anni, è alta 1 metro e 63. Nata a Verona da genitori togolesi (ma in Togo, in vita sua, c’è stata solo quattro volte). Studi da ragioniere, poi Scienze politiche e il classico Erasmus in Spagna. La vittoria di Damiano Tommasi, l’ex calciatore che un paio di settimane fa ha strappato la città al centrodestra, l’ha distolta dal suo train de vie nella piccola filiale di una grossa banca in un paesino della Bassa, la parte di pianura sulla strada che porta a Mantova, e l’ha catapultata in Consiglio comunale. In quanto candidata che ha raccolto più preferenze (329) nella lista più votata (16.452 voti), oggi presiede la prima seduta della nuova consiliatura (incarico simbolico, ma in fondo è di simboli che si parla). Lei ancora stenta a crederci. È una ragazza timida. Al cronista che le chiede se aspira al Parlamento, fa una smorfia rivelatrice: non ci aveva neanche mai pensato. “Per ora spero solo di essere all’altezza”. Figurarsi che abita ancora con i genitori in un appartamento di Borgo Roma, alla periferia sud della città.


Chi sono i suoi?
Simon e Sabine Atitsogbe. Lui è a Verona nel 1989, doveva essere un’esperienza breve, decise di restare. Lei lo ha raggiunto nei primi anni '90. Mio padre era commercialista, ma qui i suoi studi non sono mai stati riconosciuti. Ha fatto di tutto. Il bracciante. L’operaio. Ora lavora in un’acciaieria. Mia madre all’inizio era casalinga, poi domestica, ora fa le pulizie all’ospedale.

 

A suo padre è dispiaciuto di non poter fare il commercialista?
Certo, ma a un certo punto subentrano altre priorità. Nel suo caso: mantenere mia madre, me e mia sorella più piccola.

 

Il Togo era francese fino al 1960. In famiglia parlate la lingua di Molière?
Magari! Mi sarebbe tornato utile. I miei hanno sempre preteso che parlassimo italiano. E non so nemmeno lo ewe, la nostra lingua. Ho qualche slang che mi esce ogni tanto, ma nulla di più.

 

E il dialetto veronese?
Altro tasto dolente. Qualche parola… Butei, che significa “ragazzi”. Com’ela?, che significa “come stai?”. Con i clienti della mia banca, nella Bassa, il dialetto sarebbe fondamentale.
 

Che tipo di razzismo ha incontrato in vita sua? Insulti oppure l’hanno trattata in maniera diversa dagli altri?
Entrambe le cose. A volte succede in maniera palese, altre in maniera subdola. C’è pure un terzo tipo di razzismo, più bonario: il signore anziano che, quando fai la coda in aeroporto tra chi ha il passaporto italiano, ti indica, in buona fede, la fila per extra-comunitari. Da quando mi sono esposta, i problemi non sono diminuiti, anzi. Poi sai: io mi sono fatta le ossa. Ma non per tutti è così. Qualcuno si chiude in sé stesso. Qualcuno risponde.
 

A scuola faceva la rappresentante?
Assolutamente no. Ero chiusa nel mio guscio. Mi sono aperta con l’attivismo. Durante un aperitivo con altre due ragazze, Wendy Baonga e Charlène Kanza, figlie di amici dei miei, ci siamo dette che mancava uno spazio sicuro per gli afro-discendenti. Abbiamo fondato: AfroVeronesi. Al primo incontro c’erano 50 ragazzi.
 

È stato dopo George Floyd?
No. Prima. Da lì è nato tutto. Grazie all’associazione ho conosciuto Damiano Tommasi. Che, al momento di fare le liste, ha pensato che potessi rappresentare un pezzo di città che altri non potevano rappresentare.

 

Siete stati miracolati dalle divisioni nel centrodestra. Perché Tosi e Sboarina hanno litigato? È vero che si sono fatti causa?
Non lo so. Non si è mai capito. Di sicuro il loro odio li ha consumati. E queste divisioni, la gente le sente lontane. Tanti ragazzi di destra sono venuti a dirmi che avevano stima di Damiano e avrebbero votato per noi.
Una vecchia storiella dice che i veronesi possono votare solo a destra, mai a sinistra. Unica eccezione: se il candidato è “de cesa", se è molto religioso.
 

La festa degli AfroVeronesi, a fine mese, si terrà nel parco dei Comboniani. Anche lei, come Tommasi, è vicina a quel mondo?
No!
 

Mai sentito un “no” più deciso.
Sono cristiana cattolica. Ma come religione. Non politicamente.
 

Era favorevole al ddl Zan?
Sono favorevole a tutto ciò che può portare a un allargamento dei diritti.
 

I suoi come hanno preso la discesa in campo?
Erano preoccupati dall’esposizione mediatica. Non avevano tutti i torti. Ma come ho detto: ho le spalle larghe. 
 

Verranno a vedere la loro primogenita presiedere il primo consiglio?
Sono riservatissimi. Già cascheranno dalla sedia nel vedere i loro nomi sul giornale….
 

Cosa pensa di Toni Iwobi, il senatore nero leghista?
No comment.