Dopo le amministrative

La vittoria di Michele Guerra a Parma, il campo largo "diverso" e l'M5s. Parla Pizzarotti

Marianna Rizzini

L'ex primo cittadino, fuoriuscito dai 5 stelle, parla di nuove, possibili, geometrie per competere anche alle politiche: "Dialogo e sui programmi e non sulle percentuali"

Prendere Parma dal centrosinistra e con il sessantasei virgola due per cento: sono i numeri del neo sindaco Michele Guerra, quarantenne docente di Cinema ed ex assessore nella giunta di Federico Pizzarotti, ex primo cittadino per due mandati, precursore di tempi nell’addio ai Cinque stelle (se n’è andato dal M5s nel 2016) e motore locale, con il governatore dem Stefano Bonaccini, nella costruzione di un “campo largo” un po’ diverso da quello immaginato dal segretario del Pd Enrico Letta. Pizzarotti, infatti, che con Guerra, parole sue, è come avesse vinto tre volte e che ora, come dice al Foglio, è più contento che se avesse vinto lui in persona, ha costruito a Parma una figura geometrica a cui si guarda anche da Roma: il Pd che vince non da solo, anzi, e non con i Cinque stelle, “ma recuperando una parte della sinistra delusa”, dice Pizzarotti, “e con l’appoggio dei civici, dei riformisti moderati e delle forze che rappresentano l’evoluzione di quella che era la rivoluzione a Cinque stelle”.

 

Rivoluzione tradita, per lui che se n’è andato (il suo “Effetto Parma” ha sostenuto Guerra) e per quelli che ora traslocano, a livello nazionale, con Luigi Di Maio. E rivoluzione nel centrosinistra in prospettiva, con calendiani, renziani e sindaci, da Beppe Sala in giù. “Questo si vedrà”, dice Pizzarotti, “e si vedrà anche”, aggiunge, “come si muoverà Luigi Di Maio e dove Giuseppe Conte cercherà di posizionarsi per mantenere i consensi residui del M5s: siamo sicuri che si sposterà su posizioni alla Alessandro Di Battista per non far scappare i duri e puri? Ma, al di là dei simboli di partito, penso il centrosinistra debba ora riflettere su quello che secondo me è stato un errore: il considerare la somma algebrica delle forze come veritiera in campo elettorale”.

 

Due più due fa cinque, visti i risultati proprio a Parma? “Questo risultato è frutto di un lavoro lungo undici mesi, cominciato nel luglio di un anno fa. Un lavoro del candidato e dei partiti, in un percorso basato sul dialogo e sui programmi e non sulle percentuali”. Se qualcuno vuole prendere il modello Parma a modello nazionale, però, deve sventare il pericolo di far restare teoria quel “partiamo dai programmi”. I sindaci hanno la ricetta? “Forse, stando a contatto con i cittadini”, dice Pizzarotti, “abbiamo potuto sentire il cosiddetto ‘polso del bar’. Questo ci ha fatto capire magari in anticipo che cosa davvero chiedevano gli elettori, che cosa mettevano davvero nella lista delle priorità. E però, anche se è vero che l’astensionismo è alto, non me la sento di dire che è sempre colpa della politica se i cittadini non vanno a votare. Esiste la responsabilità del singolo di fronte a un dovere civico: non è uguale se vincono quelli o questi; a Parma non sarebbe stato uguale se avesse vinto il centrodestra. Il difetto a monte, casomai, è nella mancanza di pragmatismo: il programma può esserci, insomma, ma poi bisogna metterci concretezza e attuarlo senza paura”.

 

Paura di perdere consensi, paura di critiche che alla fine immobilizzano. “C’è un tema su cui si potrebbe sperimentare la capacità di dialogo e il coraggio delle proprie idee: penso allo ius soli. Lo dico perché vengo da dieci anni di esperienza sul territorio: i bambini nati da famiglie non italiane di origine sono uguali agli altri a scuola, per fortuna, ma poi fino a 18 anni permane un gap. Sempre per esperienza, aggiungo: quando agisci scontenti sempre qualcuno, lì per lì, persino per una pista ciclabile. Ma se poi i cittadini ‘vivono’ il risultato, il dissenso cala e spesso si trasforma in apprezzamento. Ecco, non fermiamoci alla prima risposta negativa, neanche su cuneo fiscale o sulle rinnovabili”.

 

L’immobilismo su larga scala, per Pizzarotti, “è dovuto anche ad alcune caratteristiche del nostro sistema: da tempo dico che, a mio avviso, per avere più governabilità sarebbe il caso di muoversi verso l’elezione diretta del premier”. Per farlo, però, bisogna intanto spostarsi sul piano nazionale, magari tra “partito dei sindaci” e campo largo che abbraccia il centro. “Non c’è ancora un contorno definito, c’è uno spazio teorico-politico da occupare. Ma guardo con interesse, intanto, a una serie di percorsi paralleli che vanno in questa direzione”. Ma lui, Pizzarotti, che fa? “Vedremo. Se mi chiameranno, vedremo”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.