(Foto di Ansa) 

il phase out da diesel e benzina

Auto, il "tutto elettrico" al 2035 spacca anche i sindacati

Luca Michele Piscitelli

L'equilibrio tra esuberi e transizione ecologica si riflette sulle posizioni di Fiom-Cgil, Uilm e Fim Cisl. Ma su un fronte le tre sigle sono unite: il governo non si preoccupa abbastanza del terremoto che sta investendo la filiera 

La posizione del Parlamento Ue sullo stop dal 2035 alla vendita di auto a benzina e diesel non trova uniti nemmeno i sindacati. Se il voto a Strasburgo ha diviso le forze di maggioranza, la decisione dell’Europarlamento di appoggiare il piano della Commissione europea per il futuro dei motori a scoppio ha trovato le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori su posizioni molto diverse sulla data scelta anche se il problema non sembra essere solo quello delle tempistiche scelte.

Simone Marinelli, responsabile automotive di Fiom-Cgil afferma che il sindacato appoggia la proposta. “Sicuramente va nella direzione che abbiamo auspicato, risponde al problema climatico e toglie incertezza al settore fissando un obiettivo chiaro. Ma apre anche un tema di fondamentale importanza di cui dovranno discutere insieme governo, imprese e rappresentanza sindacale su come affronteremo il periodo che va da oggi al 2035”. 

Il voto dell’Europarlamento non ha invece trovato pienamente d’accordo Rocco Palombella, segretario generale di Uilm: “Io non avrei votato il provvedimento perché così emerge tutto il dramma del non essere pronti. Indicare una data ma non rendersi conto di quali possono essere le conseguenze, o immaginarle e non volerle affrontare, è letale”. Su una linea simile anche il segretario nazionale della Fim Cisl, Ferdinando Uliano: “avrei imposto ai Paesi un piano di aiuti per facilitare il processo di industrializzazione e nel contempo avrei dato anche un po’ più di respiro in termini temporali di accelerazione”.
 
A preoccupare i sindacati non sembra però la data fissata, quanto la risposta offerta dal governo italiano che non appare sufficiente a nessuna sigla sindacale. A febbraio insieme a Federmeccanica Fiom-Cgil, Uilm e Fim-Cisl avevano inviato a Palazzo Chigi un documento per affrontare “un’emergenza che oscilla pericolosamente tra grandi opportunità e gravi rischi”. Appello che, confermano i rappresentanti sindacali, è rimasto inascoltato. L’unica risposta dell’esecutivo è stata quella dei sostegni all’acquisto di auto elettriche, una misura che incide sul lato della domanda ma che nulla offre a quello dell’offerta visto che in Italia viene prodotto poco o nulla di quello che viene incentivato. 

Da alcuni mesi circola inoltre la cifra di 70 mila posti di lavoro a rischio con la transizione all’elettrico, stimata da Anfia, mentre si moltiplicano le crisi di impianti specializzati in componenti per i motori endotermici. “Siamo preoccupati perché ancora una volta il governo non sta affrontando il problema per la sua gravità, cioè affrontare la transizione con strumenti adeguati. Gli strumenti adeguati non possono essere gli incentivi. Serve un ragionamento complessivo su quelle che sono le ricadute della transizione”, ha sottolineato Palombella che denuncia la superficialità e la disattenzione del governo sul tema.

“Un’accelerazione di questo tipo rischia di creare impatti occupazionali importanti. La sostenibilità ambientale va affiancata da quella sociale. Per fare ciò, se le limitazioni vengono imposte dal 2035, occorre attuare subito una serie di interventi per facilitare il processo di riconversione di tutta la filiera della componentistica che oggi è molto esposta sui motori endotermici”, ha ricordato Uliano. “Occorre una politica industriale – sottolinea infine Marinelli – che posizioni l’Italia all’interno del percorso dell’Unione europea per provare a riconquistare la posizione che detenevamo fino a qualche decennio fa: siamo passati da una produzione di 2 milioni di veicoli alla fine degli anni ’80 ai 400mila del 2021”.

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