Conte segue la "linea Giarrusso". E Letta, a pranzo con Prodi, sbuffa

Valerio Valentini

Il capo del M5s soffre la concorrenza filoputiniana e antidraghiana degli ex grillini, e ordina alla sua capogruppo di votare insieme all'opposizione. I senatori del Pd perdono le staffe e chiedono un chiarimento al segretario. La Taverna rivendica lo sgarbo a Palazzo Chigi, e perfino Zanda perde la pazienza

Dino Giarrusso ha abbandonato il M5s. E uno starebbe per dire: vabbè, uno in meno. Se non fosse che l’ansia da like di Giuseppe Conte è tale che i fuoriusciti lo mandano in angoscia. “Perché quello dovrebbe essere lo spazio nostro – urla il senatore Gianluca Castaldi – quello dell’opposizione a Draghi”. E così succede che Mariolina Castellone, la leader del M5s a Palazzo Madama, quando scopre che l’ex grillino Lele Dessì, ora a capo dei Comunisti italiani, in conferenza dei capigruppo annuncia il voto contrario della sua componente sul calendario d’Aula, subito si accodi: “Noi da settimane chiediamo che il premier riferisca in Aula. Per cui votiamo anche noi contro il governo”.

Quando i suoi colleghi di maggioranza le rimproverano quella sua strambata (“Così scegliete di sostenere il calendario dell’opposizione? E senza neppure avvisarci?”) la Castellone martedì si è giustificata allargando le braccia: “Ordini dall’alto”. E del resto Paola Taverna, anziché battere in ritirata, rivendicava lo sfregio al governo: “Se da mesi chiediamo al premier di riferire e nessuno ci ascolta, votare contro sul calendario, e cioè essere coerenti con le nostre posizioni, è forse l’unico modo per farci ascoltare”.  

E così un ex presidente del Consiglio, uno che con la sua pochette vuole ammaliare l’elettorato moderato, uno che è a capo del partito di maggioranza relativa, che soffre la concorrenza descamisada di uno che, con la falce e il martello in mano, ha messo su una ridotta di dieci oltranzisti impenitenti del grillismo della prima ora come Barbara Lezzi, complottisti con tendenze antisioniste quindi neodipietristi come Elio Lannutti, No Vax  come Bianca Laura Granato e Mattia Crucioli, tutti risolutamente anti draghiani, tutti variabilmente filo Putin. E insomma Dario Franceschini potrà anche lodare Conte per il suo sforzo di istituzionalizzare il M5s, ma visto da Palazzo Madama Conte sembra più che altro inseguire il passato da cui doveva affrancare il M5s ricevuto in dote. Al punto che perfino quando gli chiedono di un post del suo tesoriere, Claudio Cominardi, che riproduce un’immagine di Draghi come un cane al guinzaglio di Biden, Giuseppi fa spallucce: “E’ solo un graffito, che gli fa?”.

Al che si capisce – oltre all’irritazione di Palazzo Chigi, oltre all’impuntatura di Luigi Di Maio che invece ci tiene a far sapere che per lui quella roba è immonda – come perfino i decani del gruppo, nel Pd, cedano all’insofferenza: “A furia di tirare, cari grillini, la corda si rompe”, è sbottato Lugi Zanda. E a quel punto si spiega perché ieri un gruppo di senatori dem, incrociando Federico D’Incà nei corridoi di Palazzo Madama, lo blocchi per spiegargli che no, così non va. “Il ministro per i Rapporti col Parlamento sei tu, e sei del M5s. A gestire la questione russa c’è Di Maio, che è un ministro del M5s. E il vostro leader Conte se la prende col governo che non riferisce in Parlamento sulla crisi russa. E a difendere questa cosa ci ritroviamo noi del Pd insieme a Forza Italia e Lega, mentre voi votate insieme all’opposizione della Meloni? Ma quanto credete che possa andare avanti, così?”. Perfino la capogruppo Simona Malpezzi, una da “calma e gesso”, altro terminale del malcontento dei suoi, ormai scuote la testa: ripete che lei segue la linea del segretario, che è “massimo sostegno al governo”, e che se Conte ha deciso di saltare la barricata il nodo è politico. “E allora a scioglierlo – le rispondo i colleghi – deve essere Enrico Letta”.

Il quale, in effetti, ai suoi confida il suo disagio per le “manovre corsare” del capo grillino, e si sforza di rivendicare la bontà della condotta del suo partito. “La nostra proposta della Confederazione europea per aprire all’Ucraina è stata rilanciata da Macron, poi ha animato la discussione a Davos. L’autorevolezza della figura di Draghi è riconosciuta a livello mondiale. Anche lo sforzo per la pace di Di Maio ha ricevuto apprezzamenti e considerazioni. Ora siamo impegnati, e vogliamo esserlo in prima linea, sulla risoluzione della crisi alimentare e dello sblocco del porto di Odessa. Questa è la visibilità che dobbiamo cercare, non quella di chi urla”, spiega il segretario.

Lo ha spiegato, come chi chiede conforto e comprensione, anche a Romano Prodi, incontrato a pranzo nel centro di Roma. E il prof., uno che se ne intende di maggioranze complicate, ha convenuto che sì, quello del campo largo resta l’unico terreno praticabile, per il Pd. Anche se forse, per la prima volta, seduti al tavolo del fidato “Da Costanza”, la convinzione condivisa dell’irriproducibilità di una coalizione di governo così eterogenea, davanti alla solita tristanzuola insalata di fagiolini, ha vacillato. Si è finiti a parlare anche di M5s, ovviamente. “Ci vuole pazienza”, ha sospirato Letta. Che poi s’è lasciato scappare un mezzo mugugno  (“Quei bei tempi della Prima Repubblica, dove se non altro c’era buona creanza”), commentando il post di Cominardi. Non proprio linea Dessì, insomma.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.