Salvini si fa un nuovo partito: "Prima l'Italia" non è solo una lista

Valerio Valentini

Il simbolo, inaugurato in vista delle amministrative siciliane, è anche un'associazione politica. A fondarla, a Bergamo, sono stati Calderoli, che ha già liquidato la Lega nord, il visegretario Fontana e il tesoriere Centemero. E' l'embrione della "nuova cosa" insieme a Forza Italia. Una federazione? Per Bossi "due più due a volte fa zero"

Non solo una lista. Sarà pur vero che non è neppure un “nuovo partito”, come s’affannano a precisare i protagonisti dell’iniziativa, e però questo “Prima l’Italia”, la “cosa” che Matteo Salvini ha creato in vista delle amministrative siciliane, a una nuova forza politica assomiglia parecchio. O, quantomeno, potrebbe diventarlo. E del resto, se davvero si trattasse “solo di un esperimento su scala locale”, non si spiegherebbe il motivo per cui il segretario del Carroccio ha dato mandato di occuparsene a colui che da sempre, nella Lega, è addetto alla scrittura di statuti, e cioè Roberto Calderoli. Che non è l’unico colonnello coinvolto. Perché nel documento vergato nello studio di un notaio bergamasco, pochi giorni primi di Pasqua, tra i soci fondatori figurano altre firme di prestigio. Quella di Lorenzo Fontana, vicesegretario federale. Quella di Giulio Centemero,  tesoriere del partito. E poi il senatore Stefano Candiani, varesotto che in Sicilia è già stato commissario, e infine Nino Minardo, unico isolano in questa allegra brigata. Tutti a tenere a battesimo un logo che, tra la vecchia guardia, ha creato un malumore che è risalito fin nel cuore del leghismo che fu, a indispettire perfino lui, Umberto Bossi

E si capisce, certo, l’ansia con cui i fondatori di “Prima l’Italia” ridimensionino il fatto. Che si tratterebbe, appunto, di una semplice lista elettorale, e che però per blindarla, per evitarne abusi o scippi, è necessario registrarla con atto notarile, e dunque attribuirle  un’associazione. Ecco tutto. 

E però i sospetti sono sorti immediati, quando l’indiscrezione è rimbalzata sulle chat dei lumbàrd. E sono sospetti che dicono di una tentazione indicibile, per la vecchia guardia nordista: quella, cioè, di liquidare il nome storico, e perfino il profilo dell’Alberto da Giussano, per favorire quella “grande federazione di centrodestra”, come la definisce Minardo che dovrebbe vedere la fusione tra il Carroccio e Forza Italia. Per ora il tentativo è solo su scala locale, come dice il deputato ragusano, che del resto le molte sfumature del centrodestra le ha vissute in corpore vili, da ex forzista, poi alfaniano, quindi di nuovo berlusconiano e infine leghista convinto. Si partirà insomma dalle amministrative di Palermo provando ad accogliere anche esponenti azzurri locali, oltre a quelli di fede salviniana.

Ma ora che l’esperimento è lanciato, in vista delle amministrative palermitane di giugno e poi, chissà, delle regionali di ottobre, i padani temono che da cosa nasca cosa: e cioè che, dopo aver verificato la riuscita della prova, dal laboratorio siciliano la “cosa di centrodestra” possa essere riproposta anche in chiave nazionale. Altrimenti perché affidare la creazione del simbolo ai colonnelli che hanno già curato, dal punto di vista legale, contabile e statutario, la transizione dalla fu Lega Nord a Lega Salvini premier. E così si spiega anche la frenesia con cui i primi sondaggi su un eventuale partito unico tra Lega e FI sono stati commentati da alti esponenti del Carroccio nelle scorse ore. Non una somma algebrica del consenso, che determinerebbe almeno un 25 per cento ma, almeno a giudizio di Fabrizio Masia, una fetta di elettorato potenziale tra il 18 e il 22 per cento. E del resto lo stesso Bossi quando è stato interpellato sulla bontà del progetto ha rispolverato una sua vecchia massima: “A volte in politica due più due non fa quattro, ma zero”.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.