Il caso

Le trenta spie russe espulse dall'Italia chiudono il cerchio della diplomazia alla carlona

Nel 2019 le più alte cariche dello Stato, Fico e Casellati, strinsero la mano ai vertici della Duma, già sotto sanzioni per la Crimea. Ora il protocollo è stato congelato. Così come le onorificenze della Farnesina

Simone Canettieri

Il governo toglie i passaporti diplomatici ad altrettanti uomini dei servizi di Mosca: stavano in Italia per infiltrare politica ed economia per conto del Cremlino. Salvini li difende, Meloni sta con Di Maio

Li ha rovinati la guerra. Un pezzo di classe dirigente russa è passata da bearsi dell’amicizia e dei pennacchi delle istituzioni italiane fino a riceverne il benservito. Notizia di ieri:  trenta  “falsi diplomatici”  espulsi.   Stavano qui per spionaggio, altro che feluche.   In questo frullatore, dove  normali rapporti bilaterali si mischiano con leggerezze si spera in buonafede,  ci finisce tutto. Le strette di mano alla Duma nel 2019 di Elisabetta Casellati e Roberto Fico ad autorità  già sanzionate dalla Ue per la Crimea, l’ultima pioggia di medaglie della Farnesina e adesso l’espulsione degli 007 venuti dall’est.  


Il ministro Luigi Di Maio ha annunciato che “per motivi di sicurezza nazionale” saranno ritirati i passaporti diplomatici di trenta cittadini russi. I quali ora avranno settantadue ore per lasciare l’Italia. Di questi, venticinque fanno parte secondo i nostri servizi segreti delle agenzie di intelligence di Mosca. E cioè della Fsb (ex Kgb) e del Gru (diramazione militare). I restanti sono catalogati come tecnici. Cosa facevano qui questi signori, molti dei quali da tantissimo tempo in Italia? Raccoglievano informazioni sulla politica e l’economia, intrecciavano rapporti e relazioni e poi riferivano a Mosca, al Cremlino. Nel tempo libero si dedicavano alla propaganda e alla disinformatia sui social. La decisione del governo Draghi segue la scia europea. Solo ieri sono stati settantatré i “diplomatici” messi alla porta da noi, Spagna,  Danimarca e Svezia. E si aggiungono alla lista ingrossata da analoghe mosse di Germania, Polonia, Francia. Il portavoce di Vladimir Putin, Dmitri Peskov, commenta questi fatti come “una mossa miope”. L’ambasciatore russo in Italia Sergei Razov registra “un ulteriore deterioramento delle relazioni”. Una posizione sposata dalla Lega, l’unica a fare distinguo irenisti. Ecco Lorenzo Fontana, vicesegretario di Matteo Salvini: “La storia insegna che la pace si raggiunge con il dialogo e la diplomazia e non espellendo i diplomatici”. Concetto ribadito da Salvini: “Serve il confronto”, dice dimenticandosi ancora di spendere una parola sul massacro di Bucha. A destra, la faccenda ripropone uno schema già visto da settimane.

Il partito di Giorgia Meloni, per bocca di Edmondo Cirielli, si  schiera dalla parte opposta: “Condivido la linea di fermezza del ministro Di Maio nel nome dell’Ucraina e dell’Atlantismo”. Il titolare della Farnesina “evita di rispondere alle provocazioni”. E spiega che “l’azione del governo italiano mira al raggiungimento della pace. Allo stesso tempo, abbiamo la necessità di tutelare i cittadini italiani”. E però c’è ancora molto da capire di questa vicenda. A partire dalla dimensione italiana dei trenta espulsi che usavano dunque un passaporto da diplomatici anche se tali non erano. Cercavano di infiltrarsi e raccogliere in tutti i modi informazioni sull’Italia. Sicché viene subito alla mente la storia del  capitano di fregata della Marina militare italiana Walter Biot – arrestato nel marzo del 2021 nel morettiano parcheggio di Spinaceto alla periferia di Roma – perché beccato a passare documenti e foto a un funzionario russo in cambio di 5 mila euro. Tutto è cambiato. Tre anni fa una delegazione parlamentare capitanata dal presidente della Camera Fico andò alla Duma (seguendo un protocollo  inaugurato da Luciano Violante nel 1999) a stringere la mano al presidente Vjaceslav Volodin, ma anche al macellaio della Cecenia Vladimir Shamanov. Entrambi sotto sanzioni Ue dal 2014 (invasione della Crimea). Il protocollo ora è congelato. Così come le onorificenze della Stella d’Italia dispensate a pioggia dal ministero agli Esteri a cittadini russi: diventeranno latta. 
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.