Il secondo tragico Salvini. Contestato in Polonia, fermato in Russia dalla polizia

Luciano Capone

La figuraccia con il sindaco di Przemysl è la seconda puntata fantozziana dei viaggi all'estero del leader della Lega. Anche a Mosca, nel 2016, la sua gita finì male per un flash mob non autorizzato

C'è sempre qualcosa di fantozziano nelle gite all'estero di Matteo Salvini. In una tappa polacca del suo tour “per la pace” verso l'Ucraina, giunto nella cittadina di Przemysl, a una decina di chilometri dal confine con l'Ucraina, dove vengono accolti i profughi in fuga dalla guerra, il leader della Lega è stato respinto. E qui c'è già tutto un mondo che si rovescia. Ma, come nella miglior tradizione fantozziana, oltre al senso di disagio ed esclusione non può mancare l'umiliazione pubblica. E così il sindaco Wojciech Bakun davanti a una selva di microfoni e telecamere, come si fa in ogni cerimonia del genere, inizia a parlare in polacco con l'italiano che annuisce. A un certo punto il primo cittadino di Przemysl, un omone di due metri vestito in tenuta verde militare, tira fuori dal giubbotto una maglietta. Salvini che non capisce il polacco, pensa a un regalo, ma quando il sindaco gliela srotola sotto il muso e vede che è una maglietta con il faccione di Putin, una di quelle che il leader della Lega sfoggiava in favor di telecamera, Salvini chiude gli occhi e capisce in che situazione si è andato a infilare. “Salvini è venuto a vedere i rifugiati – dice il sindaco – è venuto a vedere che cosa ha fatto questa persona sulla maglietta a questi rifugiati. Io non la ricevo, venga con me al confine a condannare la persona che lei chiama amico Putin”. Salvini ribalta gli occhi al cielo, prova a balbettare qualcosa in inglese: “Sorry...  we are … here... we are helping refugees...”. Seguono insulti vari del pubblico, mentre il leader mesto abbassa lo sguardo e se ne va. 

 

 

Qualcosa di analogamente fantozziano era avvenuto in un'altra trasferta di Salvini, in Russia. Una di quelle in cui, per l'appunto, indossava le magliette di Putin. Siamo nel novembre del 2016, in piena campagna elettorale per il referendum costituzionale, e Salvini vola a Mosca per manifestare nella Piazza Rossa contro la riforma costituzionale. “Un saluto da Mosca, amici! L’aria è buona ma tutto può succedere”, annuncia profetico sui social network, sfoggiando una foto con il Cremlino sullo sfondo e in mano uno striscione per il No. Ma il flash mob salviniano, che voleva denunciare la svolta autoritaria di Renzi dalla democratica Russia di Putin, si trasforma in un'altra scena fantozziana: Salvini viene fermato dalla polizia russa perché da quelle parti è vietato manifestare in piazza senza un'autorizzazione.


Il fatto è che Salvini va all'estero per inscenare passerelle per questioni di politica interna, senza però conoscere o rendersi conto del contesto in cui si trova. Solo che se la gita a Mosca è stata una semplice farsa, stavolta a fare da sfondo a quella al confine con l'Ucraina c'è la tragedia della guerra. Marx al contrario, in chiave fantozziana: il secondo tragico Salvini.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali