Marcello Pera (foto Ansa)

l'intervista

“Se mi è piaciuto il richiamo di Mattarella ai diritti? Preferisco parlare di doveri”. Parla Marcello Pera

Redazione

L'ex presidente del Senato, tra i candidati della destra al Colle. "Dal capo dello stato bel richiamo alla cultura e alla religione cristiana. Adesso si affronti il problema giustizia"

Marcello Pera, ex presidente del Senato, è stato uno dei nomi inseriti la scorsa settimana dal centrodestra nelle rose ufficiali per la presidenza della Repubblica. Pera, in questi giorni, ha scelto un basso profilo, limitandosi a osservare l’evoluzione delle contorsioni politiche del centrodestra, ma dopo qualche giorno di riflessione ha scelto di chiacchierare. Lo ha fatto ieri con il Foglio. E lo ha fatto a margine del discorso di insediamento di Sergio Mattarella. “Se mi è piaciuto il discorso del presidente? Ricordo che Napolitano al secondo mandato fece un intervento eccellente, nel solco di quelli grandi di Cossiga. Toccò problemi seri, veri e incrostati da troppo tempo. Fece capire che riforme non vuol dire interventi minori e a spizzico. Chiamò in causa la Costituzione. E con le forze politiche mostrò grande coraggio: le mise a nudo davanti alle proprie manchevolezze e ritardi e gli sbatté in faccia le responsabilità senza riguardi di maniera. Mi sembrò più interessato alla verità dura e cruda che al consenso, più alla riflessione che all’applauso. Quel discorso è passato alla storia”. La malizia di Pera è chiara: quel discorso è passato alla storia.

E questo? Certamente, chiediamo a Pera, avrà apprezzato il forte richiamo del presidente Mattarella ai diritti. “Io – dice Pera – sono un liberale, conservatore e cristiano. Non mi parli perciò di diritti, piuttosto di doveri. I diritti vanno e vengono, anche quelli che sono chiamati fondamentali. Sono alla mercé delle maggioranze politiche e delle circostanze. Ha visto che cosa è successo e ancora continua a succedere con la pandemia? Che tutta quella bella retorica dei diritti sanciti dalla prima parte della Costituzione è cascata sotto il peso del più banale dei decreti amministrativi. Così, da un giorno all’altro, il diritto di viaggiare, di lavorare, di intraprendere, di andare in chiesa, di pranzare con i propri genitori e parenti, e così via, sono scomparsi senza che nessuno protestasse. Quei pochi che lo hanno fatto, con buone ragioni e proprio in nome della Costituzione, penso ad esempio a Massimo Cacciari, sono stati trattati come untori delinquenti. Occorre capire che parlare di diritti, anziché di doveri, della priorità dei primi anziché dei secondi, è l’anticamera della licenza individuale e della prepotenza politica”.

“In Europa – prosegue Pera –, i nuovi diritti, pensi all’aborto, all’eutanasia, al matrimonio omosessuale, all’identità di genere, hanno una storia ricorrente: sono prima richieste di minoranze, poi sentenze di questa o quella corte fino a quelle supreme, infine leggi imposte a tutti. Ma come fa la nostra Costituzione a dire che la Repubblica ‘riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo’ se di fatto li crea a piacimento delle occasionali maggioranze parlamentari?”.

E il discorso sulla dignità richiamata da Mattarella? “Bellissimo richiamo alla cultura e alla religione cristiana. Ma se il cristianesimo è la fonte che ci ispira questo richiamo, allora mi fermo ad Agostino: hominis dignitas ex Dei in ipsum dignatione. Capisco che Dio è un termine che non si può usare in aule parlamentari, se non per deriderlo, e però osservo che, intesa in altro modo, la dignità si riduce a una tutela politica accordata ora a questo ora a quello, ora più a questo ora più a quello. Ad esempio, non c’è dubbio che esiste la dignità dei migranti e il loro diritto alla vita, ma esiste anche la dignità del cittadino a non essere invaso e a scegliere chi poter accogliere. E’ giusto tutelare la dignità degli ‘anziani che non possono essere lasciati alla solitudine, privi di un ruolo che li coinvolga’, ma quando quell’anziano fosse massacrato di tasse e imposte con una pensione non corrispondente al lavoro che ha svolto la sua dignità sarebbe ugualmente calpestata. Vede, a noi conservatori lo stato opprimente e invadente e saccente non piace per nulla”.

Che cosa l’ha colpita di più del discorso di giuramento? “Due passaggi, molto applauditi. A me sono sembrati anche un po’ autocritici. Il primo riguarda il rispetto delle prerogative costituzionali del Parlamento (devo dire la sua dignità?) in materia di approvazione di leggi, a cominciare da quella di Bilancio. E’ evidente che il presidente ha inteso dire che non consentirà mai più che a un ramo del Parlamento e a sé medesimo non sia concesso un minimo di tempo adeguato per discutere e promulgare. Né approverà più che ogni volta si ricorra a un voto di fiducia. Perché in tal modo il Parlamento scompare e resta solo il governo o, peggio, perché anche lì sembra succedere la stessa cosa, restano organi non previsti dalla Costituzione come le cabine di regia. Avanti di questo passo e resterà solo il presidente del Consiglio. E così avremo finalmente risolto il problema della crisi della democrazia”.

E l’altro punto? “La questione giustizia. Più precisamente, la questione Consiglio superiore della magistratura. Il presidente ha sollecitato la riforma Cartabia. Bella cosa e giusta. Solo che la riforma Cartabia è una riforma della legge elettorale che non risolve nulla. Così come non risolve la riforma sul processo con l’introduzione della ghigliottina dell’improcedibilità. Non volendo rischiare le conseguenze del caso, andando di fretta spesso per negligenza loro, i magistrati di appello e di cassazione ricorreranno alle sentenze conformi, con non poco sacrificio dei diritti della difesa. In realtà, a Costituzione vigente, se si vogliono scardinare le correnti, c’è solo il sorteggio dei membri del Consiglio. Mi chiedo perché Cartabia non ci abbia tentato. L’ultimo e unico tentativo di modificare l’ordinamento giudiziario fu quello del ministro Castelli. Spero che almeno la Lega se ne ricordi. Fra l’altro, la legge Castelli ebbe il merito di introdurre il principio di gerarchia nelle procure e la relazione annuale del ministro al Parlamento sullo stato della giustizia prima dell’apertura dell’anno giudiziario. Era un timido ma deciso e apprezzabile passo per introdurre la discussione sulle priorità dell’azione penale nel luogo meglio deputato a farlo, perché si tratta di decisione eminentemente politica: il Parlamento. Oggi, siamo ancora in regime di piena discrezionalità”.

Scusi, ma per questo tipo di riforme occorre toccare la Costituzione. “Vero. Anche per staccare la sezione disciplinare del Consiglio superiore per affidarla, ad esempio, a un’Alta corte esterna, occorre una riforma della Costituzione. Lo stesso per eliminare tanti ricorsi inutili in Cassazione. O per separare le carriere dei magistrati.  O per rendere inappellabile la sentenza di assoluzione in primo grado. O per fissare i poteri del governo in Parlamento. O per correggere il bicameralismo. O per cambiare il regionalismo o federalismo che dir si voglia. Per non parlare dei poteri del presidente della Repubblica. Eccetera, eccetera”. Perciò? “Perciò mi tocca  insistere e continuare a fare il Pierino. Siccome il Parlamento la riforma della Costituzione non la fa, occorre un’assemblea costituente fuori dal Parlamento. Cari bei giovani trenta-quarantenni, avete voglia di impegnarvi e di prendere in mano il vostro futuro? E voi, cari partiti che non ve la passate tanto bene, avete voglia di elevare la discussione politica al vostro interno e in tutta Italia e innalzare una bella ed entusiasmante bandiera? Perché, così, di sette anni in sette anni, avete capito dove si finisce?”.

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