Matteo Salvini e Mario Draghi (Ansa)

Contorsioni tattiche

Draghi non crede alle minacce di Salvini, che pensa al 31 marzo

Valerio Valentini

Il premier resta indifferente davanti alle dichiarazioni bellicose del leader del Carroccio, le ritiene al momento un pericolo inconsistente. Dopo lo strappo in Cdm, più che rompere con il governo, l'obiettivo della Lega sembra essere Speranza, il ministro della Salute considerato il paladino del “chiusurismo”

A un certo punto l’espressione accigliata di Mario Draghi s’è come sciolta in un ghigno beffardo. È stato quando, a ridosso del Cdm di due giorni fa, s’è accorto che Massimo Garavaglia chiedeva di complicare ciò che giorni prima, e con insistenza, i leghisti avevano chiesto di semplificare. E cioè il riconoscimento della validità dei green pass e dei vaccini diversi da quelli italiani per gli stranieri che arrivano nel nostro paese: una misura indispensabile per riattivare il settore fieristico, per accogliere le giuste istanze di “riapertura” venute dal Carroccio. “Ce lo avete chiesto voi, e ora non vi sta più bene?”, si meravigliavano dallo staff del premier. Che, più serenamente, ha allargato le braccia: “Va bene, ho capito, andiamo avanti”.

 

Ha capito, Draghi, che la minaccia leghista per ora è inconsistente. E il fatto che ieri Massimiliano Fedriga abbia ringraziato Palazzo Chigi per aver introdotto la norma che il ministro del Turismo voleva sabotare, è solo uno degli elementi che suggerisce al premier di restare così, indifferente al clamore delle dichiarazioni bellicose di Matteo Salvini. L’altro indizio, per dire, è la soddisfazione espressa dal segretario leghista dopo che Daniele Franco, richiesto in tutta fretta di ricevere una delegazione del Carroccio al Mef, mercoledì mattina, ha risolto un problema con trucco contabile: ha inserito 169 comuni in più nello stesso fondo, già stanziato, da 900 milioni per la rigenerazione urbana. Al che il capo della Lega, chissà se credendo alle sue stesse mistificazioni, ha potuto twittare: “900 milioni in arrivo per 169 comuni”, e tutto s’è chiuso così, con una stretta di mano. Ora, un chiarimento di persona anche con Draghi avrebbe aiutato. Ed era in programma. Senonché  Salvini ieri è risultato positivo al Covid. Si rimanderà quando si potrà, nella consapevolezza che le tensioni non sono destinate a esaurirsi.

 

Perché nel calendario di Giorgetti e Salvini, che ieri mattina si sono visti al Mise anche per ribadire l’effettiva condivisione di vedute, la data che è stata segnata in rosso è quella del 31 marzo. È in vista della scadenza dello stato d’emergenza, infatti, che il Carroccio deve muoversi. Ingaggiando, quindi, una battaglia muscolare contro Roberto Speranza, il ministro della Salute che sempre più verrà additato come il paladino del “chiusurismo”, trasformato insomma in ciò che finora è stata Luciana Lamorgese. Non a caso il titolare dello Sviluppo aveva consigliato a Salvini, durante le trattative quirinalizie con Draghi, di prenotare il ministero della Salute, e non il Viminale: “Perché un ministro non può tenere sotto ricatto una nazione per le sue paure irrazionali”. E non a caso, già lunedì scorso, Giorgetti aveva trovato il pretesto giusto per attaccare Speranza. “Ma sono tutte finte, perché poi in realtà Salvini asseconda l’andazzo di chi vuole tenere tutto chiuso”, tuona il meloniano Francesco Lollobrigida. Toccando così il nervo scoperto dei leghisti, e dimostrando perché è proprio sulla gestione della pandemia che Salvini chiede ai suoi di agitare la polemica. “La soppressione dello stato d’emergenza non serve solo a evitare che la Lega perda punti nei sondaggi”, ribatte Edoardo Rixi. “I punti che a noi ci interessano sono quelli del pil, che non risale come potrebbe se teniamo ancora il paese bloccato”. 

 

Contorsioni tattiche, e ci sta. Che però sembrano dettate più dall’ansia del riscatto dopo lo scivolone quirinalizio, che non da un reale prospettiva di rottura. “Se dopo aver rigettato la candidatura di Draghi al Colle dicendo che per lui era proprietario che il premier restasse a guidare il governo, ora Salvini mettesse in crisi il governo, rischieremmo di dover chiamare il 118”, ha scherzato ieri Enrico Letta coi suoi deputati, col tono di chi dispensa calma. “Anche se – ha poi aggiunto – quello è capace di tutto”. Capace perfino, ad esempio, di affidare alle agenzie un immediato commento non appena Mattarella ha finito di parlare alla Camera: “Lo stop alle auto diesel ammazza il lavoro”. Poi al capo dello stato ha telefonato, Salvini, e ha fatto i complimenti per il discorso “splendido e convincente”. E  anche a lui ha lasciato intendere quel che ai membri del Consiglio federale, martedì, ha detto chiaramente: “Che le battaglie che riteniamo giuste le combatteremo, ma da dentro il governo”. Sapendo, certo, che di qui alla possibile tregua del 31 marzo, di possibili inciampi ce ne saranno. Giorgetti ne teme soprattutto due: la norma sui balneari e quella sul catasto. Anche perché da Mattarella Draghi ha ricevuto un mandato pieno per correre sull’agenda di governo: “La stabilità di cui si avverte l’esigenza è fatta di dinamismo”, ha detto il presidente della Repubblica, soffiando nelle orecchie del premier. Lo stress test della Lega può dunque iniziare. 
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.