(foto Ansa)

oltre il colle

Ragioni geopolitiche per spingere Salvini a sostenere Draghi

Sergio Soave

Sostenere il premier in carica verso la corsa al Quirinale e abbandonare le posizioni euroscettiche, darebbe al leader leghista quella legittimità europea necessaria per puntare nel 2023 a Palazzo Chigi

Matteo Salvini in questi giorni ha oscillato molto, il che sembra indicare che si senta obbligato a scegliere tra due diverse prospettive politiche. Una, tutta interna al recinto nazionale, consiste nella competizione con Giorgia Meloni per il primato nel centrodestra. Però, se si fa a gara a chi strilla di più, è evidente il vantaggio di cui gode chi sta all’opposizione rispetto a chi alla fine deve accettare le mediazioni all’interno della maggioranza di governo. L’altra prospettiva, invece, potrebbe nascere da una riconsiderazione della collocazione internazionale, soprattutto europea, della Lega.

In questo campo si è di fronte a una novità di cui ancora non si apprezzano le effettive dimensioni: lo spostamento a destra della Cdu e quindi del Partito popolare europeo. La tattica suggerita già da un anno da Giancarlo Giorgetti, quella di far aderire la Lega al Ppe, rischiava di fallire per un veto tedesco, che ora è assai improbabile. Scegliere questa strada, sia direttamente sia attraverso quella federazione con Forza Italia di cui si era parlato nei mesi scorsi, permetterebbe a Salvini di chiudere l’intesa per la salita di Mario Draghi al Quirinale, senza temere che dopo le elezioni si creino ostacoli, dall’interno e dall’estero, alla sua candidatura a premier a causa di dubbi sulla sua affidabilità europeista. Da un altro punto di vista, la collocazione internazionale della Lega, che cercava un avallo americano ai tempi di Donald Trump, ora ha bisogno di nuovi ancoraggi. Del resto la borghesia produttiva del nord, che resta il punto di riferimento sociale fondamentale della Lega, può essere spinta verso atteggiamenti euroscettici su specifiche questioni, ma nel complesso si sente ancora integrata nel sistema economico e di scambi governato dalle istituzioni europee.

E proprio Mario Draghi ha mostrato come si può essere profondamente europeisti e proprio per questo rivendicare cambiamenti rilevanti nella politica concretamente praticata dall’Unione. Toccherà al governo in carica nella prossima legislatura il compito non facile di migliorare il patto di stabilità e crescita, e naturalmente avrà più possibilità di incidere un esecutivo non sospettato di un atteggiamento euroscettico pregiudiziale. I dubbi di Salvini, sul rischio che questa scelta venga interpretata come un cedimento e una rinuncia alle posizioni precedenti, sono comprensibili e anche da questo probabilmente originano le sue recenti oscillazioni. Tuttavia i cambiamenti che si sono verificati in Germania e in America richiedono un riposizionamento anche per ragioni oggettive e ogni politico di un qualche valore sa che ogni scelta deve confrontarsi con la realtà in mutamento, altrimenti la coerenza si trasforma in vacua testardaggine.
 

Di più su questi argomenti: