Elisabetta Casellati for president. Ritratto della quirinabile presidente del Senato

Salvatore Merlo

“Pronto, sono Maria Elisabetta”.  Ecco l’operazione scoiattolo della presidente urlatrice portata avanti da Salvini 

“Pronto, sono Maria Elisabetta Alberti Casellati...”. Poiché a un certo punto si è convinta di poter diventare capo dello stato, ecco che la presidente del Senato da qualche giorno ha spinto la sua proverbiale diffidenza nei confronti del prossimo fino a individuare in Forza Italia, cioè nel suo stesso partito, l’ostacolo più grande e più serio alla sua travolgente e inevitabile ascesa al Soglio laico della Repubblica. Quindi la presidente ha inaugurato la sua personale “operazione scoiattolo”. Solo che Silvio Berlusconi chiamava al telefono i peones degli altri partiti, mentre lei chiama soprattutto quelli del “suo” Senato e del “suo” partito. Il problema pare sia questo, e anche lei ormai se n’è convinta: più la conoscono e meno la votano. Così, persino ieri, la si vedeva improvvisamente allontanarsi dallo scranno più alto della Camera, mentre Roberto Fico intanto leggeva dalle schede elettorali  nomi di improbabili presidenti della Repubblica, per raggiungere le sue stanze. E anche il telefono. Al posto della Casellati intanto restava solo la cospicua borsa. Lì. Accanto a Fico. Enorme. Segno tangibile dell’assente presenza della presidente telefonista.
   

Come dice un senatore berlusconiano con tono eufemistico, per così dire: “Lei precisamente simpatica non è”. Amata, dai suoi colleghi del Senato, o mediamente da chi ha avuto modo di vederla da vicino – anzi sentirla, visto che tende all’urlo – nemmeno. Negli ultimi quattro anni, per dire, ha cambiato sei portavoce. Due ogni dodici mesi. Un record forse imbattibile. O li licenzia o scappano. Battuta fulminante di uno di loro: “Il problema è che la presidente tende a vaffanculizzare le sue insicurezze”. Ecco. Persino in Aula. Quando presiede. Alcuni video sono virali su internet. Degni della migliore commedia all’italiana, tra Boris e Fantozzi. Ecco infatti la presidente che  da sotto alla mascherina tono su tono (verde bosco, viola speranza, grigio seppia... a seconda del colore del tailleur) alla minima incertezza esplode in un fragoroso: “Per Dio!”.

     

Oppure: “State qua come dei pupazzi!”. Rivolto ai commessi che la fanno sbagliare. Poi ai collaboratori lavativi. Ai questori distratti. Spesso pure ai senatori indisciplinati. Eppure tra questi c’è anche  chi si augura sul serio che venga eletta. Ma con questa motivazione. Quasi la Casellati al Quirinale fosse un esperimento sociale. “Vivremmo momenti alla Cossiga, esilaranti”. Chissà.  Meno ottimista  è Osvaldo Napoli, deputato, tre legislature accanto a Berlusconi in Forza Italia. “Mettiamola così”, dice. “Volete il mio giudizio? Ve lo do subito: se Casellati deve disegnare un cerchio, non ci riesce nemmeno se le dai un bicchiere”. Esagerato. Vittorio Sgarbi, mentre  in Transatlantico corre voce che Matteo Salvini sia pronto a lanciarla alla quarta votazione, mette su uno sguardo sornione: “Casellati è... il massimo”. Di cosa non si sa. E Sgarbi questo non lo spiega. Anche se un secondo dopo si mette a parlare del “nulla”, tra esistenzialismo e pittura. Il dubbio resta.

         
Ecco dunque spiegato perché da qualche giorno, dopo essersi assai lamentata di come la sua rilevantissima candidatura al Quirinale sia stata fin qui maneggiata da Salvini (“non si gioca con la seconda carica dello stato”) ecco, si diceva, spiegato perché la presidente bicognomata ha iniziato la sua personale operazione telefonica. Operazione simpatia. Chissà poi se è vero che, fra le  telefonate fatte ai senatori del suo partito, una sia stata rivolta al senatore del Pd Luigi Zanda. “So che prenderai il mio posto al Senato. Quanti voti mi porti?”. Ma questa è certamente una fantasia.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.