Beppe Grillo (Ansa)

mollezze etiche

Beppe Grillo, l'equivoco dell'onestà-tà-tà e le sciocchezze “de sinistra”

Giuliano Ferrara

La strada del traffico del cosiddetto illecito di influenza era segnata dal primo giorno per il fondatore del M5s. Dopo Craxi e l’abbaglio dipietrista, Michele Serra farebbe bene a condannare le sciocchezze etiche della sua sinistra 

Sarebbe stato carino se Michele Serra, commentando il caso Grillo-Mascalzone Latino, avesse riconosciuto la propria ingenuità dei tempi in cui si mostrava amico solidale dell’ansia sbandierata di onestà-tà-tà che promanava dal Movimento con un nome alberghiero, capace in forza della demagogia spinta di diventare nelle ultime politiche il cartello elettorale di maggioranza relativa. Invece il commentator cortese della sinistra moralista e umoralista, già vittima consenziente della “diversità antropologica” nella visione berlingueriana della politica comunista, e delle repliche amarognole della storia, ha scelto di ricamare, al piccolo punto, una presa di distanza dal suo vecchio amico e collaboratore di Bibbona, censurato per la diversità grillina declamata e tradita, un ricamo non estraneo del tutto al difetto nazionale dell’ipocrisia.

 

Serra riconosce infine che la questione del rapporto fra politica e denaro è un problema irrisolvibile con sbandieramenti e appelli allo sradicamento del ceto dirigente in favore di un inesistente nuovo che avanza a colpi di sacro blog e di piattaforma Rousseau. Non è poco, vista la legge dei vent’anni, cioè il lasso occorrente a riconoscere per proprie le sciocchezze “de sinistra” e a rigettarle da parte del fronte diversitario: ieri era il ventiduesimo anniversario della morte a Hammamet di Bettino Craxi, ma non saremo così puntigliosi da rimproverare a Serra quei due anni di eccedenza rispetto alla legge bronzea del coglione moralista. Ci piacerebbe che in cambio della nostra larghezza di vedute, che evita il puntiglio, il corsivista di Repubblica riconoscesse domani, non fra altri vent’anni, di averne detta un’altra delle sue. Infatti secondo lui “il problema” è distinguere, cosa non facile a suo giudizio, tra il reato penale e la mollezza etica.

 

Noi amici della meglio delinquenza d’antan, da Bettino al Cav., solidali come siamo anche con tutti i loro predecessori e successori, che sono tanti e molto illustri, crediamo di aver capito da oltre trent’anni che il reato penale va considerato alla luce della sua politicizzazione, e distinto dalle crociate penali intese a infilzare un ceto dirigente o un sistema dei partiti, anche novissimi, anche nati all’insegna dell’onestà-tà-tà. E che la mollezza etica va distinta dal finanziamento privato e pubblico della politica, due cose necessarie in diversa misura, e dal lobbismo, di cui vanno indicate regole di trasparenza e di controllo, ma che non può essere condannato e criminalizzato penalmente con leggi grilline come quella sul “traffico illecito di influenza”. La mediazione tra interessi e decisioni parlamentari non può essere sottoposta a un vaglio arbitrario dell’ordine giudiziario sulla sua liceità (a parte che le vicende del Csm e delle correnti e carriere di magistrati dimostrano di quali traffici siano capaci i giudici del traffico illecito); deve invece essere regolamentata in modo da rendere esplicito chi dà, chi prende e chi vota gli emendamenti e subemendamenti del caso. Se la legge si finge virtuosa o virtuista, e ignora o cancella questo spazio di intermediazione tra interessi imprenditoriali e misure politiche, allora ogni possibile virtù è pregiudicata dalle chat e dalle intercettazioni e dalla chiacchiera mediatica e dalle campagne rigeneratrici, sempre e sistematicamente.

 

Serra avrebbe dovuto capire tanti anni fa che Di Pietro non era uno stinco di santo, almeno dai tempi remoti della campagna elettorale al Mugello, se non prima. Avrebbe dovuto intuire che il marasma del finanziamento della politica in Italia e non solo era il portato storico e di sistema di una situazione bloccata dalla Guerra fredda e dal consociativismo. Che il decreto Berlusconi sulle tv fu un atto di governo limpido, più limpido del blackout decretato dai pretori pro Agnes e pro De Mita, e che i finanziamenti di Berlusconi a Craxi erano il sostegno a una leadership riformista e liberale, e di difesa dal moralismo intermittente dei berlingueriani, non un delitto penale. Che il sacro blog serviva anche a raccogliere fondi per l’assalto alla diligenza della Repubblica, “vi arrestiamo tutti”, e che per Grillo e per gli altri la strada dell’influenza, del traffico e del cosiddetto illecito era segnata fin dal primo giorno. Avrebbe dovuto, avrebbe, e pazienza se non lo ha fatto: sono con lui i molti milioni di italiani, non tutti esenti da mollezze etiche varie, che hanno scelto come loro campioni per oltre trent’anni persone eticamente molli ma esteriormente rigidissime nei princìpi. Però potrebbe prenderne atto, ora che l’equivoco, di nuovo, e sarà così per i secoli dei secoli, è saltato in aria.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.