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EDITORIALI

Il Grillo prezzolato

Redazione

Le gesta del blogger a gettone rivelano l’ipocrisia degli insulti ai giornalisti

Non è l’essere finito sotto indagine, per giunta per un reato fumoso come il traffico di influenze illecite, il problema. Per il signor Giuseppe Piero Grillo vale il principio civile e costituzionale della presunzione d’innocenza, esattamente come vale per suo figlio Ciro rinviato a giudizio per violenza sessuale e come valeva  per tutte le persone che lui e il suo partito mettevano alla gogna. Se c’è una “questione morale”, o quantomeno un disvelamento dell’ipocrisia tipica di tanti moralisti e giustizialisti, che è emersa a prescindere dagli esiti giudiziari riguarda il “blogger” più che il politico.

Prima di fondare il partito, Beppe Grillo è diventato popolare costruendosi l’immagine di voce “indipendente”, il suo blog veniva presentato come l’unico organo d’informazione libero in un sistema dei media corrotto e asservito ai vari interessi politici ed economici. Per anni Grillo ha alimentato la sua fama definendo i giornalisti “pennivendoli”, paragonandoli alle prostitute. Ai cronisti che cercavano di porgli qualche domanda, per evitare di rispondere, distribuiva soldi falsi: “Ora fate come dico io”. Sulla retorica della stampa “prezzolata” ha edificato gran parte del suo successo personale e politico. E invece si è scoperto che era lui, Beppe Grillo, a farsi pagare ben 120 mila euro l’anno per due anni da Moby, società dell’armatore Vincenzo Onorato, per pubblicare   “contenuti redazionali” sul suo blog e sui suoi canali e forse, questa è l’accusa, anche per influenzare il M5s a favore di Moby. Anche se, come gli auguriamo, l’accusa non verrà dimostrata una cosa è già dimostrata: chi si fa pagare per pubblicare contenuti, senza peraltro specificare ai lettori se si tratti di spazi pubblicitari o meno, è lui e non i giornali. Quando Grillo  negli anni insultava i giornalisti definendoli “pennivendoli” stava in realtà descrivendo se stesso.

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