Salvini teme lo scherzetto del Cav., e prova a fermare Draghi

Al Senato i pontieri leghisti dicono a quelli del Pd: "Lavoriamo per sabotare Draghi". E Renzi spiega perché Berlusconi non sosterrà il premier: "Avrebbe preferito il Conte ter, un anno fa, per via di Ennio Doris"

Valerio Valentini

Il capo della Lega spera che Berlusconi si ritiri. Ma sospetta che potrebbe, per venedetta, proporre un nome sgradito al Carroccio. "Il Cav.? Se non va lui, potrebbe puntare su Amato o Rutelli", dice chi ci ha parlato. I consigli di Renzi all'altro Matteo: "Se vuoi chiuderla subito, vai su Casini. Se sbagli, sei finito come lo fu Bersani nel 2013"

Scalpita e tentenna. Si sente gli occhi di tutti puntati addosso. Sa che è vero quel che Matteo Renzi gli ha detto, “che se sbagli questa partita, caro omonimo, fai la fine di Bersani nel 2013: sei morto politicamente”. E insomma l’omonimo, cioè Matteo Salvini, sa che si ritrova a fare la parte del regista che però non controlla tutta la sceneggiatura. “Perché in fondo – come spiega di buon mattino, in un capannello di pezzi da novanta del Senato il leader di Iv – tutto al momento dipende da Berlusconi”. Che  per ora di ritirarsi non ci pensa. Non adesso, almeno, non così. E infatti ha deciso di rinviare il vertice programmato per oggi a Roma, nella sua Villa Grande. Resta ad Arcore, dove convoca lo stato maggiore di FI. Per tenere il leghista sulla graticola, per complicargli il gioco.

E Salvini forse l’ha capito, che gli conviene attendere. “Nessuno dica una parola su Berlusconi”, è l’ordine diramato in mattinata. Che nasce dalla consapevolezza che il Cav. pretende di gestirla lui, la sua candidatura, di scegliere lui i tempi e i modi di un eventuale passo indietro. Salvini martedì ha sperato che tutto potesse compiersi, e quella speranza ha provato a nutrirla di spin. Prima però che da Arcore arrivasse la minaccia della rappresaglia che il salviniano Stefano Candiani riassume poi ai pontieri del Pd: “Se Berlusconi si sente scaricato da noi, proporrà  nomi per noi indigesti”. Il centrodestra c’est moi, insomma. 

Ed è uno scenario che anche Renzi prefigura. Lo fa di buon mattino, in un conciliabolo illustre a Palazzo Madama. “Il Cav. non ce la farà, ma Salvini è costretto ad aspettare. Se i due trovano un’intesa, si può arrivare alla Moratti, a Pera o alla Casellati”. Tommaso Cerno, che  in queste ore è stato contattato dal leader azzurro (“Voti per me?”), poco dopo alla buvette  ci andrà giù ancora più netto. “Mi ha detto che se non va lui potrebbe toccare alla Casellati”. Lei ci crede, e  da giorni nel suo ufficio di Palazzo Giustiniani è un via vai di parlamentari. “Ma poi c’è uno scenario ben peggiore, per Salvini, perché gli altri nomi che il Cav. mi ha fatto – prosegue Cerno – sono  Amato e Rutelli”. Di certo c’è che lo sfregio a Salvini da parte del leader di FI lo paventa anche Renzi. “Ma il Cav. non si ritirerà per fare spazio a Draghi”, dice il senatore di Scandicci. Ad ascoltarlo ci sono Luigi Zanda e Antonio Misani del Pd, c’è il centrista Paolo Romani, c’è l’azzurro Maurizio Gasparri. E tutti si gustano l’aneddoto che parrebbe rivelatore. “Quando chiamai Berlusconi il giorno decisivo della crisi del Conte II – racconta Renzi – gli dissi che si andava o verso un Conte ter con un ministro della Giustizia espresso da Iv, o verso Draghi. E il Cav., a sorpresa,  scartò Draghi per  dei rancori maturati anni addietro tra la Bce ed Ennio Doris”.

E insomma che fare, con l’imprevedibilità del Cav.? “La verità è che Silvio è l’unico che c’ha gli attributi, e gli altri sono tutti giovanotti che  si nascondono nella sua ombra”, sentenzia Paolo Barelli, capogruppo di FI alla Camera. Ed è un segnale della persistenza dell’ambizione anche il proseguire della pesca a strascico. Così caotica che perfino uno come Eugenio Saitta, M5s, dal centralino di Arcore è stato confuso con qualche ex grillino. “So che ha abbandonato il credo giustizialista”, s’è sentito dire. E lui, che è un fedelissimo di Alfonso Bonafede, ha dovuto spiegare che no, non era lui quello che cercavano. “Chiacchiere”, taglia corto Barelli. “Semmai c’è che l’ansia di Salvini, che fa filtrare ipotesi sul ritiro di Berlusconi, forse è dettata dalla paura che venga bruciato dalla Meloni”. E ci sta, certo. Ma forse nella fretta del leader della Lega, nella volontà di veder consumarsi presto la candidatura del Cav., c’è la voglia di aprire subito un nuovo gioco.  Salvini sa che nell’inconcludenza generale l’unico  che s’affermerebbe  è Draghi. E non sarebbe certo un esito gradito. Per questo contatta i capicorrente del Pd. Per questo manda i suoi delegati a parlare perfino con quel Nico Stumpo che è lo stratega di Bersani. “L’unico modo per evitare Draghi al Colle”, spiega il deputato di Leu al drappello di leghisti, “è che tutti i leader vadano dal premier a proporgli un capo dello stato che può garantirgli sicurezza a Palazzo Chigi. Ma questi nomi, se si esclude Mattarella, quali sono? Forse Amato. Forse Casini. Di certo non Pera né la Moratti o Frattini”. Che è poi lo stesso ragionamento che Salvini si sentirà fare anche da Renzi. “Siccome non può perderla, questa partita, deve accettare di chiuderla anche su un nome che non è il suo preferito, ma d’intesa trasversale”, spiega Renzi ai colleghi senatori. “Un nome come Casini, ad esempio”.
 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.