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Letta & Letta per Draghi

Salvatore Merlo

Gianni ed Enrico, zio e nipote, arrivano alla stessa conclusione sul Quirinale. E sono una potenza 

“È fondamentale un’intesa sul presidente o sulla presidente, che sia una figura super partes”, dice Enrico. “Bisogna guardare agli interessi del paese e non alle differenze di parte”, dice Gianni. E mentre il più giovane non fa mistero di essere per Mario Draghi, malgrado il Pd sia ancora incerto, il più anziano è stato visto entrare venerdì a Palazzo Chigi, cioè a casa di Draghi, malgrado Silvio Berlusconi sia ancora in partita. L’uno è “il dritto” e l’altro è “il lento”, l’uno arriva a Draghi per machiavellismo mentre l’altro vi è sospinto per forza di cose (“abbiamo bisogno di un anno”), ma messi insieme sono una macchina da guerra.  

  

Dunque eccoli i due Letta, zio e nipote d’Italia, Enrico e Gianni, il segretario del Pd e il gran visir del berlusconismo, diversi ma uniti da quelle caratteristiche che nei codici italiani del potere sono considerate le virtù lettiane. Virtù di famiglia. Riservatezza, idiosincrasia per la ribalta, capacità di mediazione, tutto ciò che adesso li sospinge a incontrarsi ancora una volta, a condividere un medesimo obiettivo, a riconoscere all’orizzonte la stessa soluzione per il Quirinale.  

 

D’altra parte Letta&Letta negli ultimi dieci anni, tra alterne fortune, hanno contribuito  a quella collaborazione indicibile, ma pure innegabile, tra il Pd e Forza Italia: alla formazione di tutti i governi e di tutte le maggioranze dal 2011 a oggi (con la sola eccezione dei governi Conte), in pratica da Monti all’incoronazione dello stesso Enrico a Palazzo Chigi nel 2013, fino alla candidatura sfortunata di Franco Marini alla presidenza della Repubblica, alla rielezione di Napolitano, e ora, chissà, al complicato capolavoro di affidare Mario Draghi ai corazzieri.

    
Letta senior arriva a Draghi con un arabesco, un calcolo che alla fine tornerà utile anche al Cavaliere fantasioso e per adesso ignaro. E infatti zio Gianni definisce “cacciatori di farfalle” Sgarbi e tutti i cercatori di voti quirinalizi che il suo amico Silvio ha scatenato: “Ma vi pare che si fa così?”. Eccolo mentre dispone i suoi attrezzi di metodico tappezziere per  far atterrare sul morbido il funambolo di Arcore. Sembra  di vederlo mentre allestisce il materasso, innesta le molle, tesse  la rete di sicurezza, il “piano B”, anzi “D” come Draghi,  intrecciando la solita trama immateriale eppure solidissima di interessi e relazioni. Sinuosa, incolore, pervasiva, discreta, trasversale. E poco importa se il  Cavaliere non vuole nemmeno pensarci a un piano B, poco importa se anzi s’innervosisce oltre misura. Non è mica la prima volta. Letta zio sa infatti che il mondo è tendente all’obliquo, che la via più rapida tra due punti talvolta è il nodo sabaudo, un percorso tortuoso lungo il quale lui  si muove con agilità.

 

Al contrario del nipote, al contrario di Enrico. Letta junior infatti è andato diretto e senza nascondimenti su Draghi. Ma a poco a poco è finito con l’assumere l’andatura d’uno zoppo che corre. Incespica sul riflesso condizionato della “donna al Quirinale”, deve superare il folto cespuglio di D’Alema e di Bersani alla sua sinistra, e per soprammercato rischia di cadere a ogni passo in una delle buche e delle trappole di Andrea Orlando, di Dario Franceschini  e degli altri ministri timorosi di perdere la toga ministeriale qualora Draghi assurga al Soglio laico della Repubblica. Per fortuna però dall’altro lato c’è zio Gianni, che gli tende la mano. Insieme sono un marchio di fabbrica: il lettismo. Quell’istituto che in Italia valica il confine della naturale solitudine partigiana e si adatta, in una sofistica contrattualità di rapporti, alla convivenza. In pratica, per Draghi, quasi una garanzia.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.