l'editoriale

Il congresso dei leader: subire la candidatura di Draghi o governarla?

Claudio Cerasa

Sull'ipotesi per cui il premier salga al Quirinale, Conte e Salvini tornano a parlare la stessa lingua, ma non fanno i conti con le forze reali della politica. Come prepararsi alla fase 2 del Colle (vale anche per il Cav.)

A poco meno di un mese dall’inizio delle votazioni per il prossimo presidente della Repubblica, la politica italiana, in modo trasversale, è dominata da due grandi scuole di pensiero, che grosso modo potremmo inquadrare così: chi vuole bloccare la strada a Draghi verso il Quirinale e chi, sapendo che la strada per il Quirinale è quella, prende tempo e semplicemente non si sbilancia.

 

All’interno di questo nuovo equilibrio, si noterà senza troppa fatica che per la prima volta dai gloriosi tempi del governo gialloverde le strade di Matteo Salvini e Giuseppe Conte sembrano essere tornate per un attimo a combaciare in modo perfetto. Per ragioni diverse, entrambi per il momento dicono di non volere Draghi al Quirinale e negli ultimi giorni Salvini e Conte lo hanno detto utilizzando le stesse parole. “C’è preoccupazione per eventuali cambiamenti che potrebbero creare instabilità”, hanno riferito fonti della Lega pochi minuti dopo la fine della conferenza stampa di Draghi, due giorni fa. E pochi secondi dopo, lo stesso hanno detto le fonti del M5s: “Il Movimento 5 stelle ritiene necessaria una continuità dell’azione di governo”. Conte e Salvini, nel loro posizionamento, hanno però di fronte a sé un problema che dovranno scegliere se subire o governare. E quel problema riguarda la presenza nei propri partiti di alcune forze reali che hanno scelto di marciare in una direzione diversa rispetto a quella dei propri leader. E il dato è questo. Conte non vuole Draghi al Quirinale, ma Draghi al Quirinale lo vogliono sia Beppe Grillo sia Luigi Di Maio. Salvini dice di non volere Draghi al Quirinale, ma Draghi al Quirinale, incidentalmente, lo vogliono, oltre a Giancarlo Giorgetti, anche tutti i pragmatici governatori della Lega, da Massimiliano Fedriga a Luca Zaia passando per Attilio Fontana. E dunque, sia per Salvini sia per Conte, risulta evidente che la partita quirinalizia, senza un guizzo, senza una svolta, potrebbe trasformarsi in un processo autolesionistico che il leader della Lega e quello del M5s più che guidare potrebbero subire.

 

Enrico Letta, segretario del Pd, ha capito che la candidatura di Draghi è inevitabile, e persino naturale, e a piccoli passi sta provando a triangolare con la parte più draghiana del M5s per evitare di trasformare il passaggio quirinalizio in un’occasione di eccessivo strappo con il Movimento. Ma sul fronte del centrodestra, in mancanza di un’iniziativa di Salvini, che pure mesi fa era stato il primo a suggerire il nome di Draghi per il Quirinale, il quadro si presenta di fronte agli osservatori ancora più caotico e gli unici ad avere la certezza che non ci sono opzioni alternative a Draghi sono le tre eminenze grige dei tre partiti di centrodestra: Gianni Letta, Giancarlo Giorgetti e Guido Crosetto. Intestarsi e non subire l’inevitabile candidatura di Draghi al Quirinale, evitando che il presidente del Consiglio diventi il candidato di una parte e non di tutti, è un’operazione che sta a cuore a chi considera inevitabile e saggio il passaggio di Draghi da Palazzo Chigi al Colle ma è un’operazione che prima o poi dovrà interessare anche chi oggi mostra una certa diffidenza per questa opzione e che rischierebbe di essere penalizzato opponendosi a un’eventualità che ha ottime probabilità di realizzarsi (e che anche nel caso in cui non si dovesse realizzare produrrebbe sul governo l’effetto opposto a quello auspicato da chi chiede a Draghi di non lasciare Palazzo Chigi per non creare instabilità).

 

Il rapporto di Draghi con i partiti va curato, strutturato, non trascurato e in buona parte costruito, ma più si andrà avanti con il tempo e più la gara a sbarrare la strada all’ex governatore della Bce è destinata a diventare una gara per intestarsi il suo nome e per evitare di subire una scelta che invece si può governare. Ieri Berlusconi, riunendo nella sua casa a Roma lo stato maggiore del centrodestra, non ha offerto l’impressione di essere disposto a fare un passo indietro (c’è tempo). Ma alla fine, quando capirà che i numeri per il Quirinale non ci sono (se è vero che ogni elezione quirinalizia ha circa il 20 per cento di franchi tiratori, al Cav. mancano più di 130 voti per avere la maggioranza dalla quarta votazione) è possibile che a Berlusconi riesca l’ennesima e forse inevitabile zampata: seguire la linea Letta e diventare, con il beau geste del suo passo indietro, il vero kingmaker di Draghi al Quirinale dimostrando ancora una volta di essere lui il vero punto di equilibrio del centrodestra italiano. Forze mediatiche vs forze reali. Il futuro del Quirinale, in fondo, si gioca anche qui. Cin cin. E auguri a tutti.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.