Il racconto

L'asse Conte-Salvini contro Draghi al Quirinale. Ma Letta e Meloni si smarcano

Il Cav. difinisce "coraggioso" il discorso del presidente del Consiglio, ma continua a spingere per farlo rimanere al governo. Renzi tace: per contare deve sparigliare

Simone Canettieri

Le reazioni alle parole del premier. I leader di M5s e Lega sbarrano la strada del Quirinale all'ex banchiere. Il segretario del Pd: "Nessuna preclusione purché il percorso sia ordinato anche a Palazzo Chigi"  

La prima reazione è di pancia. Ecco  Matteo Salvini: “Preoccupano eventuali cambiamenti che potrebbero provocare instabilità”.  Mario Draghi ha terminato la conferenza stampa della svolta da nemmeno dieci minuti. Seguiranno analoghe prese di posizioni, con varie sfumature, da quasi tutti i partiti.  L’orgoglio, e dunque il primato della politica, si scontra, a seconda dei casi, con una sostanziale rassegnazione. 


Giornata complicata. Le parole di Draghi atterrano in una Camera semideserta e in un Senato che si accapiglia per la manovra. I punti di osservazione sono moltissimi. Sergio Mattarella dal suo ufficio al Quirinale assiste, come da prassi istituzionale, alla conferenza stampa del premier. Nessun commento trapela. Il presidente ha la testa al discorso di fine anno, “poi si eclisserà”, racconta chi frequenta il Colle. Di sicuro la “ruvidezza”, la maniera dritta con cui Draghi fa un passo in avanti pone tutta la politica innanzi al famoso “che fare?”. Declinato in “che dire?”. Salvini per tutta la giornata è quello che sembra boicottare l’ex banchiere.

Con frasi di questo tipo: “Se va via del domani non v’è certezza, al vertice del centrodestra dirò avanti con il premier fino alla fine della legislatura”. In questo gioco delle coppie spunta Giuseppe Conte, capo del M5s che dice di farsi interprete del gruppo parlamentare grillino “poco entusiasta” dell’opzione quirinalizia del suo successore perché “si rischia una vacatio pericolosa”.

Conte & Salvini. Con il primo che assicura: nel nostro partito non ci sono ambiguità. Gratta gratta però Luigi Di Maio, in missione in Kuwait, sembra andare su un’altra posizione di grande apertura al presidente del Consiglio per la forma e il contenuto delle parole pronunciate davanti ai cronisti. Chissà che ne pensa Giancarlo Giorgetti, alter ego politico - ma nella Lega - del ministro degli Esteri? D’altronde il titolare del Mise è stato il primo a lanciare Draghi al Colle.

E ora tace, appoggiato al bancone della buvette, intento a parlare di sport con il leghista (ex grillino) Felice Mariani. Quanta dissimulazione, quanti non detti. Andrea Orlando, ministro del Lavoro e capodelegazione del Pd, dice “che la conferenza stampa non l’ha vista”. E sulla candidatura del capo del governo risponde con una battuta: “Non è una notizia”. Cambiare premier significherebbe anche cambiare la squadra con qualche uscita importante? Nei giudizi politici spesso si mischiano fatti personali.

Nel Pd per esempio ci sono mille sfumature. I deputati di Base riformista temono che si possa precipitare verso il voto: “Occhio, non ci sarà un altro governo”.

Enrico Letta in serata, quando il polverone si è depositato, fa un altro ragionamento. Lontano anni luce dalla posizione ufficiale del suo alleato Giuseppe Conte (che non si fida più di Draghi, raccontano, dalla vicenda delle nomine dei tg Rai). Ecco la riflessione che trapela dal Nazareno, dunque il Letta-pensiero purissimo: “Va tutelato Draghi: il suo profilo di statista e la sua esperienza. Il Pd è aperto a qualsiasi opzione, l’importante è che tutto il processo sia ordinato e serio. Perché i due percorsi, quello della presidenza della Repubblica e quello del Consiglio, sono sovrapposti”. Ancora il vertice dem: “Il giorno dopo l’eventuale elezione bisogna avere chiaro che succede in quel percorso: ne va della tenuta del paese, altrimenti la strada si fa in salita”. Il caos è nel centrodestra. Giorgia Meloni, piccola rappresentanza parlamentare ma leader in fortissima ascesa, è assai più cauta di Salvini.

Dice che sul Colle si esprimerà oggi al vertice a tre con i capi di Lega e Forza Italia. Attacca la manovra, attacca il premier perché è l’unica all’opposizione, ma a Palazzo Chigi non appare ostile. Anzi. “Il premier è uscito dal silenzio, ora possiamo riflettere”, dice per esempio Ignazio La Russa, uno dei grandi saggi di Fratelli d’Italia. Nel gioco delle coppie, per l’eterogenesi dei fini, Letta e Meloni sembrano remare ancora una volta nella stessa direzione. Ma il Cav. Silvio Berlusconi è a Roma, a Villa Grande, Appia Antica. Ha definito “coraggioso” il discorso del premier, tuttavia continua a ripetere che deve rimanere a Palazzo Chigi. Anche se Gianni Letta rientra tra coloro che gli propongono la grande mossa: lanciare Draghi, diventare il king maker della partita. Il quadro è frastagliato, motivo per cui Matteo Renzi si tiene le mani libere. In silenzio. Per incidere dovrebbe sparigliare. O tentare la carta del congelamento.

 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.