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L'elogio

Salvini, Fedriga e Giorgetti. Il tridente che spinge la Lega lontana dall'estremismo

Claudio Cerasa

Il sì a Mario Draghi, al Recovery plan, al super green pass sono tutti segnali che allontano il partito dalla stagione populista. Una leadership si giudica anche per i risultati che ottiene e la verità difficile da ammettere è che (almeno finora) il contributo dato dal Carroccio a questo governo è più che positivo

I segnali sono tanti e a volte bisogna mettersi lì con diligenza a osservare i puntini senza troppa ideologia. Proviamo. Il sì a Mario Draghi. Il sì al Recovery plan. Il sì al super green pass. I toni misurati sulla manovra. La battaglia per abbassare le tasse. Il sì al Trattato del Quirinale. La fine della speculazione sui vaccini. La domanda che gli osservatori si pongono in modo un po’ maldestro quando provano a ragionare sulle trasformazioni della Lega è se all’interno del partito guidato da Matteo Salvini riuscirà a prevalere quel pezzo di Lega che sogna di confinare il salvinismo in uno scantinato della storia. Non c’è dubbio che all’interno della Lega vi siano visioni molto diverse del mondo – Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo, tende spesso a farle emergere alla luce del sole – ma ciò su cui si dovrebbe ragionare è se lo schema di gioco con cui si presenta oggi la Lega sia uno schema che Salvini subisce, da leader commissariato, o sia uno schema che Salvini invece accetta, e che in una certa misura cerchi persino di alimentare, con la logica di trasformare i volti più in vista della nuova Lega, come Massimiliano Fedriga, per esempio, e come lo stesso Giancarlo Giorgetti, negli interpreti di una linea che cambia.

 

È possibile, anzi è quasi scontato, che in alcune occasioni Salvini si senta scavalcato dalla sua stessa classe dirigente. Ma una leadership si giudica anche per i risultati che ottiene e la verità difficile da ammettere è che (almeno finora) il contributo dato dalla Lega di Salvini al governo Draghi è più che positivo. E a nove mesi dalla scelta da parte della Lega di mettere i suoi voti al servizio dell’azione dell’ex governatore della Bce si può dire che la Lega estremista si presenta all’appuntamento con l’elezione del presidente della Repubblica controllando un pezzo di Lega infinitamente più piccolo rispetto a quello controllato all’inizio di questa legislatura. È possibile che tutto questo un giorno finirà (e purtroppo le frequentazioni europee  non promettono nulla di buono, anche se la fuga dal vertice europeo che avrebbe dovuto mettere insieme tutte le destre estreme del continente è una notizia positiva, per quanto non definitiva). Ma allo stato attuale si può dire che nella gestione finale della pandemia, con alti e bassi e con splendide incoerenze rispetto ad alcune stupidaggini del passato, la Lega di Salvini si è con regolarità schierata più dalla parte della responsabilità che dalla parte della follia.

 

Ieri il Financial Times ha dedicato un lungo approfondimento al tema dell’evoluzione dei populisti durante la stagione del Covid-19 e ha individuato un elemento di preoccupazione concreto: la possibilità che i tempi lunghi della pandemia possano spingere i politici estremisti a trasformare l’esasperazione dei cittadini nel principale serbatoio della propria azione politica. In diversi paesi europei, nota con sconforto il Ft, tutto questo sta già accadendo e sono molti i casi in cui il vecchio lessico antiestablishment è stato riutilizzato nell’ambito di una battaglia speculare: quella contro la famigerata dittatura sanitaria. In Italia tutto questo non è accaduto, almeno per quanto riguarda la Lega, e l’impressione è che un pezzo dei populisti italiani, quelli che oggi trainano il partito guidato da Salvini, siano interessati non a speculare sulla pandemia ma a fare tutto ciò che è necessario fare per lasciarsi la pandemia alle spalle – magari anche solo per poter tornare felicemente a speculare su vecchi temi come l’immigrazione.

 

La trasformazione della Lega, grazie a un assetto tattico che vede Salvini giocare un po’ più arretrato  rispetto ad altri giocatori come Fedriga e Giorgetti, è difficile ma non impossibile. E buona parte della nuova non impossibile stagione leghista passerà da una partita cruciale: dalla capacità che avrà Salvini di trasformare una scelta naturale, come quella di Draghi al Quirinale, in una propria scelta, anche per dare alla destra italiana la possibilità, per la prima volta nella sua storia, di votare in modo compatto per un presidente della Repubblica. In bocca al lupo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.