l'intervista alla festa del foglio

Gentiloni: "Il Pnrr non è un regalo"

Paola Peduzzi

Il commissario europeo dice che il piano di rilancio “ci permette di affrontare i nodi irrisolti”, ma occhio alle spese correnti. Sulla riforma del Patto di stabilità è fiducioso, anche grazie al nuovo governo tedesco

Buongiorno a tutti. Immaginavo una conversazione più tranquilla con Paolo Gentiloni, commissario europeo per l’Economia. Invece in quest’ultima settimana la situazione è precipitata in maniera rapida e continua a farlo. Devo partire da questa urgenza ed emergenza. Spero di sbagliarmi, ma l’Europa sembra ancora un po’ confusa. Scoordinata, forse. Siamo alla quarta ondata: è ancora possibile?

 

“Buongiorno. È sempre bellissimo essere alla Festa dell’ottimismo, anche se l’incipit dell’intervista non è molto ottimista. Come ricordava prima Roberto Speranza, la risposta europea dal punto di vista sanitario è stata molto importante. Non era scontato: l’Unione non esercita competenze specifiche, si tratta di una materia regolata dagli stati membri. Malgrado ciò, oltre agli altri dossier su cui sta lavorando, l’Ue ha raggiunto due risultati straordinari. Il primo: il common procurement per i vaccini. Questione controversa, come ricorderete. All’inizio di quest’anno alcuni paesi lamentavano ritardi, altri, come il Regno Unito, notavano quanto fossimo indietro. Quella misura, però, ha evitato tensioni tra paesi vicini, impedito la nascita di un mercato nero e permesso la distribuzione in Europa di circa un miliardo di dosi. A questo proposito, va ricordato che l’Europa è stato l’attore globale che ha esportato verso gli altri paesi la quantità maggiore di vaccini: al 25 novembre la cifra ammonta a un miliardi e 80 milioni di dosi verso 59 paesi. Perlopiù si tratta di nazioni a medio reddito, mentre per quelle a basso reddito si lavora attraverso il programma Covax. Il secondo – su cui all’inizio, a differenza del primo, non ero così convinto – è il qr code europeo, grazie al quale è possibile viaggiare in tutta Europa: ne sono stati scaricati 600 milioni. È straordinario come venga riconosciuto in tutti i paesi europei e come stia costruendo una base di dati su cui si lavorerà per l’identità digitale europea. Cosa succederà con la variante Omicron? Non sono un esperto, ma la Commissione ha invitato gli stati membri a prendere misure precauzionali sugli arrivi. In più, Ursula von Der Leyen ha incontrato i ceo di Pfizer, Moderna e BioNTech per capire se le caratteristiche mRna dei vaccini rendano rapido il loro adattamento alle varianti e, di conseguenza, la copertura. Adesso ci vuole cautela, ma eviterei l’allarmismo. Certo, venerdì i mercati finanziari hanno chiuso in forte ribasso, ma capiremo nei prossimi giorni se questa caduta dipenda dal lungo periodo di crescita conosciuto in precedenza e l’occasione sia servita per trarre benefici. E nell’ultimo mese si è verificata una graduale riduzione di mobilità secondo l’indice di Google e un incremento dei provvedimenti restrittivi secondo lo Stringency Index di Oxford. Ma nulla di tutto ciò è anche solo lontanamente comparabile con quanto abbiamo vissuto durante i lockdown: chi sostiene che ci troviamo sulla soglia della situazione senza speranza in cui eravamo prima della messa a punto dei vaccini dice qualcosa di inesatto e pericoloso. Per cui, ottimismo!”.

 

Lei ha fatto bene a ricordare il lavoro dell’Europa, visto che secondo la narrazione prevalente il progetto europeo è apparso più fallimentare di quanto in effetti sia stato. La solidarietà ha avuto un costo però: la creazione di un debito comune che può diventare un problema nel lungo termine. In più, lei ha cominciato a esprimere preoccupazione sul modo in cui le risorse stanziate verranno usate, anche con riferimento all’Italia. Cosa la spaventa?

L’Europa ha messo in campo una massa di quattrini senza precedenti. Abbiamo deciso di farlo: cinque giorni dopo la dichiarazione di pandemia, la Bce ha dato avvio al programma di acquisto straordinario di titoli di stato per stabilizzare il mercato. Due giorni più tardi, il Patto di stabilità e le regole sugli aiuti di stato sono state sospese e questo ha portato i paesi membri a spendere in modo consistente per affrontare la crisi. Poi è arrivato ciò che tutti conosciamo: il debito comune per Next generation Eu, Sure e così via. Abbiamo sbagliato? Penso di no. Il ritmo di rimbalzo delle economie europee è stato rapido e torneremo ai livelli di crescita pre pandemia tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo. Ci riprendemmo dalla crisi del 2008-2010 con più lentezza: in quel caso la trasformazione in crisi finanziaria e un diverso approccio europeo, raffigurato nella celebre passeggiata di Deauville, creò diverse complicazioni. Ma quegli errori non sono stati ripetuti: tuttora la Commissione raccomanda, con moderazione, politiche economiche espansive. Non possiamo ignorare il livello del debito, in particolare nei paesi dov’è più alto. Questo non significa il ritorno in attualità delle regole del Patto di stabilità così come sono. Prevedevano tassi di riduzione del debito irrealizzabili sul debito della zona Euro di allora, figuriamoci con quello odierno, che si aggira intorno al 100 per cento e non diminuirà in modo consistente nei prossimi anni. La riduzione del deficit sarà rapida e accentuata, entro il 2023 tornerà in media sotto il 3 per cento. La riduzione del debito sarà più contenuta: secondo le nostre stime, entro il 2023 scenderà intorno al 97 per cento. L’idea di usare quelle regole per scendere al 60 per cento nel giro di qualche anno è considerata inapplicabile da tutti. La sfida consisterà nella modifica di quelle regole, se ne parlerà molto nei prossimi mesi, ma nel frattempo è meglio non ignorare la questione. Perciò va tenuta d’occhio la spesa corrente, soprattutto nei paesi ad alto debito: perché esistono i margini per ottenere politiche espansive grazie agli investimenti europei e alla possibilità di conservare un livello di rapporto tra investimenti e pil molto alto. Troveremo il modo per facilitare gli investimenti dal punto di vista dei bilanci pubblici, però bisogna evitare di dare la sensazione che ciò significhi totale libertà di spesa. Ricordo quando facevo parte del secondo governo Prodi: la principale misura presa dal ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa fu il taglio del cuneo fiscale, un’operazione da otto miliardi di euro. Non bisogna entrare nello stato d’animo per cui i miliardi sono risorse da spostare e distribuire a piacimento”.

 

Pensa che stiamo ritornando a questo?

“No, credo che il governo sia consapevole del rischio, ma abbia qualche difficoltà dovuta alle sue dinamiche. Bisognerebbe concentrarsi sulla partita vera. Parlo dell’enorme occasione dovuta ai circa 200 miliardi tra prestiti e trasferimenti del Recovery Fund. Occupiamocene, ce n’è abbastanza per dare una connotazione espansiva alle politiche di bilancio e per risolvere molti problemi del nostro paese. Il governo ne è consapevole. Dell’opportunità e dei rischi che comporterebbe non coglierla, il sistema paese, i protagonisti dell’economia, il mondo dell’informazione lo sono altrettanto? Vedo un simile dibattito in una posizione molto marginale nell’opinione pubblica. Siamo già oltre, come se i 200 miliardi li avessimo già incassati e ci fosse da discutere sui capitoli e capitoletti di spesa”.

 

Quali rischi vede?

“In Italia, il governo attuale e quello precedente hanno fatto una scommessa: avvalersi per intero della quota di Recovery destinata al nostro paese. Non è avvenuto lo stesso per tutti i paesi. Sure, il meccanismo europeo di sostegno ai sistemi di ammortizzazione sociale degli stati membri attraverso prestiti, è stato utilizzato da 19 paesi, perché ritengono che le condizioni di finanziamento della Commissione europea, garantiti da una tripla A, siano vantaggiose. I prestiti del Next Generation EU sono stati richiesti in tutto da cinque paesi, ma solo due di questi hanno domandato l’intero ammontare della quota a loro destinata. Insieme alla Spagna, l’Italia ha fatto la scommessa più ambiziosa ed entrambi i paesi hanno difficoltà nell’assorbimento dei fondi europei. Siamo alla Festa dell’ottimismo, facciamo prevalere il lato positivo: se non ora, quando? Abbiamo una grande opportunità. Molto impegnativa e ambiziosa, e ci consente di affrontare molti problemi. Ci siamo giocati l’intera posta e in virtù di questo dobbiamo essere consapevoli che in alcuni territori, in certi settori, si presenteranno difficoltà e non salteranno fuori subito, anche perché nella timeline degli impegni assunti l’Italia ha fissato per primi obiettivi meno difficili da raggiungere. Eppure siamo all’interno di quel percorso. Guido Carli parlava di “vincolo esterno” dell’Europa. Ecco, in questo caso il vincolo esterno lo abbiamo interiorizzato: con il nostro piano, deciso dal nostro governo, abbiamo indicato un percorso obbligato da qui al 2026. È un fatto negativo? A mio parere è un molto fatto positivo, a patto che si dia il rilievo, il peso e l’importanza che merita. Se invece diamo quei soldi per già acquisiti, l’ottimismo non basterà”.

 

Purtroppo abbiamo già finito il tempo e dovremo essere veloci. In realtà con lei volevo parlare solo di Germania, anche per via del nuovo governo tedesco: di sinistra, verde e liberale. Al suo interno, il ministro delle Finanze Christian Lindner è considerato un falco. Quanto litigheremo con la Germania in questa fase di ridiscussione delle regole di Patto di stabilità e di conflitto tra falchi e colombe?

“In generale, tra i diversi governi europei c’è consapevolezza comune dei problemi: regole più realistiche per la riduzione del debito e in grado di facilitare le transizioni sono esigenze condivise. Ciò che non è condiviso, e su cui costruire consenso non sarà facile, è il percorso per farlo: strumenti, proposte e misure. In questo contesto la Germania ricoprirà un ruolo cruciale. Il nuovo cancelliere tedesco, Olaf Scholz, è persona competente e dotata di capacità di compromesso: ci ho lavorato in questi due anni e si è dimostrato tale. Il ministro delle Finanze lavorerà nella stessa direzione. In più, i tedeschi prendono molto sul serio gli impegni contenuti nei programmi di governo, si tratta di veri e propri contratti. E proprio sul tema delle regole fiscali europee il contratto contiene diverse aperture: al suo interno, introdotta da un premessa secondo cui il Patto di stabilità ha dimostrato di poter essere flessibile, viene riconosciuta l’importanza delle modifiche da introdurre. Non sappiamo ancora quali modifiche avranno il consenso necessario, ma la loro importanza è sancita. Aggiungo un’altra cosa: Olaf Scholz ha fatto un piccolo grande capolavoro nella vittoria alle elezioni federali e nella formazione di una coalizione di governo. Il capolavoro consiste in due aspetti. Il primo: non pretendere di fare l’esatto contrario di quanto ha realizzato la parte politica cui ci si candida a sostituire. Qualcosa di simile riuscì anche circa venticinque anni fa a Tony Blair, quando venne dopo a Margaret Thatcher. Insomma, segnalare una continuità, pur con differenze. Il secondo: la parola “rispetto” come elemento fondamentale e parola chiave della sua campagna elettorale. Si tratta dell’ingrediente principale da usare dalla sinistra per uscire, come si dice in Italia, dalla Ztl: verso chi ha opinioni diverse, per chi svolge lavori diversi, nei confronti di chi non ha goduto della stessa formazione. Questa è la lezione che, per chi è interessato, è la lezione da comprendere per la sinistra in tutta Europa”.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi