Il leader di Azione Carlo Calenda (LaPresse) 

“Giorgetti è un bluff. Ma i riformisti si sveglino”. Parla Calenda

Valerio Valentini

“Dice che Salvini è un incapace, poi gli giura obbedienza”. Le zuffe leghiste viste dal leader di Azione

Sembrava fosse un amico, “e invece è un altro bluff”. Pure quel Giancarlo Giorgetti a cui Carlo Calenda ha sempre riconosciuto una certa serietà, la dignità che si riserva agli avversari di cui  si ha stima, con cui si intessono dialoghi. “Un bluff”. Ecco la sentenza del leader di Azione. “Che non cancella il giudizio che ho di lui, lo reputo comunque un interlocutore serio”. Però? “Giorgetti è uno che dice, giustamente a mio avviso, che il suo leader le sta sbagliando tutte, che non ci sta capendo niente, che deve cambiare l’agenda. E poi però a quello stesso leader, il Bud Spencer, ribadisce fedeltà e obbedienza. Non capisco”. Che sia  un gioco delle parti? “Ah, boh. Nelle dinamiche interne alla Lega non mi ci infilo”.

    
E insomma nelle considerazioni un poco sprezzanti di Calenda si raggrumano tutte le contraddizioni del leghismo, e forse in parte anche quelle dei suoi avversari. L’idea che un politico, a destra, meriti considerazione solo nella misura in cui smentisce se stesso e tradisce il suo leader, se insomma agisce come una sorta di infiltrato, di sabotatore. Same old story, da Gianfranco Fini in giù. 

   
E però forse nelle contorsioni del Carroccio di questi ultimi giorni s’è manifestata quella che Renato Brunetta, conversando coi colleghi di Forza Italia, aveva definito “la via impossibile”, quella cioè che dovrebbe portare la Lega  verso la moderazione, verso il Ppe, dunque lontano delle pulsioni del sovranismo. Via impossibile, diceva il titolare della Pa, perché quello di Salvini “è un partito che o è antagonista o non è”. E del resto la stessa Mariastella Gelmini, mentre i suoi deputati fremevano di fronte all’insubordinazione di Giorgetti, invitava tutti a non farsi illusioni, “ché io Giancarlo lo conosco bene e non è certo tipo da mettersi a fare la fronda: ha detto la sua, ha fatto sapere che non è d’accordo, e tanto gli basta. Al dunque, si riallineerà”.

  
Cosa che in effetti è successa giovedì sera, durante il Consiglio federale. Notizia che Calenda ha appreso, dice, senza lasciarsene turbare granché. “Penso al mio partito, al mio lavoro”. Eppure è stato proprio Giorgetti a rafforzare le ambizioni dell’ex ministro nella sua corsa verso il Campidoglio, affermando di preferirlo al candidato ufficiale del centrodestra, Enrico Michetti. “Le insofferenze di Giorgetti nei confronti della linea sovranista di Salvini, il suo tentativo vano di spostare la Lega su posizioni europeiste, ragionevoli, indicano che in realtà uno spazio c’è”. Al centro? “Nello spazio dei riformismo liberale”. 

   
Dove però le defezioni sembrano più delle adesioni. “E questo perché non è certo solo Giorgetti, l’unico eterno indeciso”, s’infervora Calenda. “C’è Mara Carfagna, che avrebbe tutte le possibilità di rompere con una destra impresentabile, e invece resta lì dov’è. C’è Giorgio Gori, che critica giustamente la linea massimalista del Pd, ma poi non si muove. C’è Marco Bentivogli, che rinnova il suo impegno per costruire un movimento dal basso, ma senza impegnarsi davvero”. E però non è un bel modo, questo, per stimolare la convergenza di queste personalità in un unico contenitore politico, o no? “Ma qui non si tratta di cercare accrocchi o accordicchi. Qui c’è da andare a guadagnarsi i voti in giro per l’Italia, città per città. Per questo nei prossimi giorni partirò dalla Lombardia: Busto Arsizio, Milano, Cremona”. Niente Cazzago, però. Nel paese di Giorgetti, Calenda non ci andrà. 
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.