Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Vespa e la telefonata tra Renzi e Letta che sblocca il dopo Conte

Esce oggi, 4 novembre il nuovo libro di Bruno Vespa “Perché Mussolini rovinò l’Italia (e come Draghi la sta risanando)” Mondadori / Rai Libri (pagine 468, 20 euro). Pubblichiamo un estratto

Martedì 8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione, nella quale il papa va a deporre fiori alla colonna mariana di piazza di Spagna, i giornali vedevano nero sul futuro del gabinetto Conte. “Governo bloccato tra liti e positivi”, titolava a tutta pagina il Corriere della Sera, dando conto anche della notizia, poi rivelatasi infondata, che il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese si era contagiata. “La frequenza con la quale la maggioranza si divide mostra una fatica crescente e ormai patologica”, scriveva Massimo Franco nell’editoriale del quotidiano milanese. Quella mattina Gianni Letta telefonò a Matteo Renzi. (Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio in tutti i governi Berlusconi, ne è rimasto ambasciatore presso il Palazzo, dove è rispettato da maggioranza e opposizione. Anche se non riesce ad amare Matteo Salvini e non ne è riamato, e cerca di tenere a bada la forte corrente salviniana di Forza Italia, sa muoversi con autorevolezza a tutto campo e ha sempre udienza privilegiata al Quirinale, chiunque ne sia l’inquilino).

 

Prima aveva sentito Mattarella, ricavandone la seguente opinione: il capo dello Stato non avrebbe obiettato su un piccolo rimpasto di governo, ma avrebbe preteso un passaggio parlamentare con voto di fiducia qualora fosse stato più corposo. Ed era esattamente quello che Conte non voleva. (Tutti ricordano che il 27 luglio 1990 Giulio Andreotti impiegò appena quaranta secondi alla Camera per comunicare i nomi dei nuovi titolari dei cinque ministeri da cui si erano dimessi altrettanti democristiani, tra i quali lo stesso Mattarella, per protestare contro la legge Mammi, che assegnava a Fininvest tre reti televisive. Ma lì c’era l’accordo pieno di Francesco Cossiga, che sedeva al Quirinale e già aveva sullo stomaco la sinistra dc, da cui pure proveniva, mentre stavolta il presidente della Repubblica era di avviso contrario).

Renzi ascoltò l’analisi di Letta e rispose secco: “Ma quale rimpasto? Qui ci dobbiamo liberare di Conte!”. Per cambiare il presidente del Consiglio, le strade erano soltanto due: sfiducia delle Camere o dimissioni. Mattarella avrebbe potuto rinviare il governo davanti al Parlamento e lì si sarebbe giocata la partita. “Guarda che se si apre la crisi di governo, è forte il rischio di elezioni”, avvertì Letta, tacendo elegantemente che i sondaggi promettevano il massacro di Italia Viva. “Le elezioni non le vuole nessuno”, ribatté Renzi, che ben conosceva lo stato d’animo della maggior parte dei deputati e dei senatori, timorosi di non rientrare in un Parlamento ridotto a 600 seggi e con la prospettiva, per molti, di un futuro da reddito di cittadinanza. “È vero che nessuno vuole le elezioni”, convenne Letta, ma dall’alto della sua lunghissima esperienza ricordò all’interlocutore che certe situazioni “superano la volontà dei singoli e sfuggono di mano”.

L’indomani, 9 dicembre, Letta richiamò Renzi dopo aver parlato di nuovo con Mattarella. “Posso confermarti”, gli disse, “che il rischio di elezioni anticipate non è solo teorico. Attento a come ti muovi”. Naturalmente, il braccio destro di Berlusconi non si preoccupava dell’avvenire di Renzi, quanto di quello di Forza Italia, che sarebbe stato assai ridimensionato da una tornata elettorale, tant’è che da tempo più di un parlamentare, pur rimanendo nelle file azzurre, si era collocato virtualmente sotto le ali protettive di Salvini: la Lega era in quei giorni ancora accreditata dai sondaggi di un 24 per cento, contro il 16 di Fratelli d’Italia e il 7 di FI. Renzi era scettico. “Mattarella ti dice cosi per spaventarci, ma vedrai che questa legislatura è blindata”.

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