(foto Ansa)

il voto e le città

In Sicilia queste elezioni sono l'antipasto delle prossime regionali, osservate gli ex dc di sinistra

Pietrangelo Buttafuoco

In attesa delle elezioni di primavera per ora è tutto un fare esperimenti: Pd e Fi si sposano a Canicattì, la destra esplode in frattaglie, ma si ricompone a Caltagirone

La vera campagna elettorale siciliana – e scusate se è poco – è quella per il Quirinale: “Perché non conoscete Sergio Mattarella, per questo non ve ne accorgete”, spiegano a Castellamare del Golfo quelli che lo conoscono bene, “dice che non la vuole la riconferma ma com’è proprio della scuola dei democristiani di sinistra, se la sta fabbricando”.


L’altra campagna elettorale di cui tutti adesso s’interessano, ossia le amministrative del 10 e 11 ottobre, qui è minima cosa: “proprio cosa di niente, un antipasto frugale di noccioline e sementi” sospira annoiato chi più sa. E infatti trattasi di soli tredici comuni dove si vota col proporzionale, dunque col doppio turno.


Tra i più importanti, e perfino simbolici c’è Alcamo. Siamo nella Sicilia occidentale, in Val di Mazara e Alcamo è soprattutto la città più grillina d’Italia dove sono attesi, infatti, giusto a celebrarne il genius loci, il fu Conte, dr. Giuseppe, e il sempre più promettente Luigi Di Maio. Dall’altro lato, anzi, nel Val di Noto, c’è la ridente Vittoria dov’è attesa Giorgia Meloni pronta, col suo Salvo Sallemi – il candidato di Fratelli d’Italia – a prendersi la città da sempre roccaforte del comunismo militante, una sorta di Stalingrado degli iblei, feudo di Ciccio Aiello, un protagonista della storia di sempre, e sempre presente nel cuore dei vittoriesi.


Ad Alcamo la Dc – cioè l’Udc – è alleata con il Pd. A Canicattì, invece, il partito di Enrico Letta sperimenta il patto elettorale con Forza Italia. E ciò nel solco del sentiment di un Brunetta: vedere finalmente i democrat e gli azzurri farsi una sola carne.

La famosa rivoluzione compiuta è quella che trova un posto a sedere e la vicenda politicamente più interessante – sotto l’inesorabile regia di Dino Giarrusso, leader del M5S all’ombra di Etna – è quella che sta capitando ad Adrano, una delle città in cui il Pd è stabilmente alleato con i Cinque stelle, dove anche la sinistra estrema di Fratoianni sostiene Vincenzo Calambrogio. Il punto di riferimento dei progressisti adraniti, candidato sindaco – un bel settantino – già professore di educazione fisica, Calambrogio è sodale di Raffaele Lombardo, nonché fratello di due stimatissimi preti, entrambi assistenti spirituali della Fuci, dunque preso dall’astutissimo Giarrusso tra i brillii dell’argenteria democristiana. E la seduta, va da sé, è già garantita.


A Caltagirone, una sorta di Predappio di Sicilia – ma al contrario, avendo dato i natali a don Sturzo e non a Quel socialista mangiapreti romagnolo – il feudo è tutto del presidente Nello Musumeci. Qui il centrodestra è unito, e vince, nel resto delle frattaglie sparse al contrario il fronte si divide, s’agita, perché ognuno mostra i muscoli in vista della waiting list. 


Solo un antipasto di niente è il fine settimana delle urne di Sicilia. La vera lista d’attesa – vorremmo qui sottolineare – è per le elezioni di Palermo della prossima primavera. Lista d’attesa per la città capoluogo dove già l’assessore di Musumeci, Roberto Lagalla – da poche ore diventato leader dell’Udc nell’isola – punta a diventarne sindaco. Lista d’attesa per le regionali quindi, dove per la sinistra è tutto già scritto – il candidato è Peppe Provenzano, già ministro per il Sud con il fu Conte – con tutto un vivamaria viceversa per il centrodestra. Con l’uscente Musumeci in stallo da Ecce Bombo: mi si nota di più se non mi ricandido o se mi ricandido?


La vera campagna elettorale di Sicilia, abbiate pazienza, è davvero quella per il Quirinale. Con Mario Draghi eletto Capo dello stato si torna al voto e cambia tutto anche per i nobilissimi palazzi d’Orleans e de’ Normanni se l’attuale presidente del Consiglio – per come gli dice la testa – resta dov’è, niente cambia. E senza nulla a pretendere.


Il vero laboratorio siciliano, il canone leggendario cui fa riferimento la scienza politica d’Italia – prendetene nota – è tutto di tenace concetto. Ed è, in una parola, dissimulazione.


La sinistra-Dc, ossia la radice cui trae linfa l’enigmatico sciorinarsi del semestre bianco, è certamente l’inverarsi della disciplinante astuzia di un Torquato Accetto – il gesuita della Dissimulazione Honesta, 1641 – ma è anche la sana sostanza della roba verghiana: i sinistri-Dc, presentissimi nello status quo, fanno sempre tutto il contrario di quello che dicono e qui, insomma, fa testo la memoria storica.


A Milazzo raccontano, per l’appunto, di quando – nel liquefarsi dello Scudo Crociato, con Silvio Berlusconi alle porte – i maggiorenti della Democrazia cristiana non sapevano ancora dove andare.


Riuniti al Cirucco ognuno di quei capi in cerca di un approdo sfoderava un’alzata d’ingegno: “Con Mario Segni!”, diceva uno; “con gli amici del Pri!”, rispondeva un altro; e qualcuno, spericolato, azzardava “con Di Pietro!”. E solo uno, il più intelligente di tutti, ossia Totò D’Alia, dall’alto del suo immenso granaio elettorale peloritano – sempre a disposizione della sinistra-Dc – se ne stava muto, mutissimo, sereno come Apollo sul carro del Sole.


Gli altri se lo guardavano con aria interrogante – “Totò, tu niente dici?” – e fu lì che Enzo Trantino, arrivato da Catania per tessere un’alleanza per conto della destra, rassicurava tutti: “Non vi preoccupate, tanto D’Alia, mente anche quando tace”.


Dissimulazione, appunto. Non fidarsi mai dei sinistri-dc, fanno sempre il contrario di quello che dicono. “Si dice no, ma invece è sì”. Pensate che Pietro Germi ne fece un memorabile fotogramma in Sedotta e abbandonata. E’ la scena in cui il maresciallo dei Carabinieri traduce in lingua di verità quello che Stefania Sandrelli sta dissimulando nella deposizione a proposito del suo seduttore: “Non voglio, non voglio, non voglio!”. Il carabiniere, diligente – bravo ragazzo veneto – batte a macchina la dichiarazione: “Non voglio, non…” ma il graduato, assai saputo, strappa dall’Olivetti il foglio, lo fa a mille pezzi e urla al sottoposto: “Fisicato, dice no ma invece è sì!”


C’è da segnalare, a margine – e ancora così è – che senza i voti della provincia di Messina, nessuno vince. Lo sa bene l’attuale sindaco della città sulla Stretto, il popolarissimo Cateno De Luca che oggi e anche domani, per il sì e per il no, chiama a sé – per un’assemblea degli amministratori municipali – tutti i dante causa del granaio elettorale di Sicilia, ovvero: Giancarlo Cancelleri del M5S, Raffaele Stancanelli di Fd’I, Davide Faraone di Italia Viva, Gianfranco Micciché che è Gianfranco Micciché per poi chiudere lui i lavori con un titolo definitivo: “Liberazione della Sicilia, Start!”.


Per il sì e per il no, insomma, Cateno li ha avvisati tutti.