TWITTER/GIUSEPPE CONTE

Conte gira le piazze italiane da rockstar, alla faccia nostra, élite colta e arrogante

Giuliano Ferrara

Ora Giuseppi è alla prova della leadership politica e l'affronta con la sua solita sornioneria: chi mai diffiderebbe di una persona modesta, che non brilla per oratoria, assistita da una gran fortuna e capacità di lavoro?

Che Giuseppi fosse un’icona sexy non ce lo aspettavamo, per certe trasfigurazioni occorre essere del sud, vivere nel sud, respirare il sud, ma che potesse essere un fantastico avvocaticchio di stato e forse anche un discreto uomo di stato abbiamo cominciato a sospettarlo quando prima ha liquidato il Truce con una pacca sulle spalle in Senato, poi rieccolo trasformista e fregolista a Palazzo Gigi (senza la acca, proto, lo conosco quel palazzo), infine ci ha chiuso in casa, per primo nel mondo, e fortunatamente gli abbiamo obbedito, amandolo addirittura quando ha esteso il Reddito di cittadinanza, per quello di giornalanza e di impresanza ci avevamo già pensato noi negli anni, a mezza Italia, approntando per di più una felice trattativa con i frugali e la Merkel allo scopo di finanziare anche con i soldi del surplus europeo la nostra ricostruzione (per la resilienza lasciamo perdere).

 

Il tour trionfale di Conte si presta all’irrisione, come tutti i trionfi che sono effimeri e per questo tanto più gloriosi, ma dice qualcosa, scusate il luogo comune assassino, sulla differenza tra il paese reale e il paese legale. Coloro che sognano incubi di sostanza jacobonica odiano l’ex presidente del Consiglio e lo sbertucciano da mane a sera, gli altri lo portano in palmo di mano, è un blasone nazionale, quello che ha trovato la forza di chiudere l’Italia e i soldi per riaprirla. La gente è fatta così, semplifica, e se sa apprezzare in Draghi il fascino gesuitico e superpolitico del Grand Commis de l’Etat sa anche valutare come si deve l’uomo comune, ignoto, anonimo, che scambia il 25 aprile per l’8 settembre e viceversa, trucca il curriculum professionale e intanto se ne fa uno migliore nella Repubblica costituzionale più bella del mondo.

Giuseppi è stato un prodigio italiano dei più vistosi, come poteva il paese reale non riconoscere il suo stellone pandemico, la sua pacatezza azzeccagarbugli, la sua tenue, soave resistenza a un grande sfratto in favore del nostro Louis XIV, l’homme fatal del whatever it takes ovvero lo stato sono io? Ora è alla prova della leadership politica, una fatica bestiale, e l’affronta con la sua solita sornioneria che tanto indispettisce l’aspetto snob, colto, arrogante e infantile della nostra personalità democratico-libbberale. Ha fatto diventare carrozze europeiste le zucche grilline di conio governativo, ripetendo in piccolo il miracolo berlusconiano della trasformazione di una massa di pubblicitari piccolissimo-borghesi in un’armata con il sole in tasca. Infatti a Berlusconi è sempre piaciuto, addirittura per come era elegante (e questo è francamente troppo, ultroneo come dicono in tribunale).

Con Giuseppi vince naturalmente anche la psicologia del rimpianto, del si stava meglio eccetera. Ma non è la questione fondamentale. E’ che il senso comune, strumento pericoloso ma irrinunciabile sopra tutto se detto all’inglese nel significato originario (common sense), sa riconoscere la sua fauna politica, non diffida di uno che è modesto, che non brilla per oratoria, che ha una voce chioccia, visto che gli hanno negato quello con la voce più bella dell’ugola di Frank Sinatra, il nostro Cav., e piace in Conte l’uomo della folla salito sul palcoscenico per puro caso e assistito da una gran fortuna e capacità di lavoro. Noi delle cosiddette élite, che poi non si dovrebbe mai esagerare, serieggiamo, studiamo, approfondiamo, ci intorciniamo intorno a schemi prettamente razionali per suscitare la bella politica, Giuseppi si accontenta di quella così così e alla testa dei grillozzi riconvertiti gira per le piazze e si fa applaudire come una rockstar.

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.