Il ritorno nelle scuole a Bolzano (foto LaPresse)

Lo strano caso Alto Adige, avanguardia nella lotta al Covid ma con molti prof no Vax

Marianna Rizzini

Un anno fa la provincia sognava di essere Covid free. Adesso molti prof rassegnano le dimissioni per non sottoporsi all'obbligo vaccinale. "Nel resto d'Europa di lingua tedesca questa imposizione non c'è"

Le regole vanno rispettate per evitare un autunno difficile”, ha detto il presidente della provincia di Bolzano Arno Kompatscher. La frase non è di circostanza: succede infatti che in Alto Adige, già zona pioneristica nella lotta al Covid, dove nell’autunno scorso si sperimentava la ricerca di massa degli asintomatici (come a Liverpool), la riapertura delle scuole, in anticipo di una settimana rispetto al resto del paese, porti con sé qualche problema, primo tra tutti una certa riluttanza (per non dire ostilità) al vaccino nella classe degli insegnanti. I numeri parlano infatti di venti professori che rassegnano le dimissioni prima dell’inizio dell’anno, e di altri sessanta che non entrano a scuola perché privi di green pass (e le eventuali sospensioni possono portare al rischio Dad per mancanza di docenti, tanto che l’intendenza scolastica ha agevolato le procedure di reclutamento).

 

Perché in Alto Adige ci sono prof no vax?

 

Dice al Foglio Giuliano Vettorato, assessore alla scuola in Lingua italiana, che l’inizio dell’anno è stato ordinato, con i docenti italiani “in gran parte in cattedra” e “servizio bus potenziato e ingressi scaglionati per evitare assembramenti”, ma nella provincia il tema della contrarietà al vaccino non è nuovo, specie nell’area germanofona, tradizionalmente guardinga sull’argomento. Che fosse perché l’imposizione arrivava dall’Italia? si sono domandati a Bolzano, ma la questione sembra affondare anche in una “mentalità” diffidente verso l’obbligo in sé. E però, intervistata da Repubblica, l’avvocato Renate Holzeisen, leader della rivolta sudtirolese contro l’immunizzazione, dice di non riuscire a seguire tutti i ricorsi di insegnanti e medici a rischio sospensione, quelli che si riconoscono nelle parole: “Non siamo No Vax: siamo contro i vaccini sperimentali che non fermano le varianti Covid. E come culla nazionale dell’autogoverno siamo dunque contro l’obbligo di Green Pass imposto da Roma. Nel resto d’Europa di lingua tedesca una simile imposizione non c’è: anche qui la libertà deve valere almeno quanto la salute”. Fatto sta che Kompatscher ha ribadito l’assoluta volontà di allinearsi alla linea del governo nazionale (è lo stesso presidente di Provincia che, come si diceva, anticipava addirittura le decisioni governative in tema sanitario ancora ai tempi del governo Conte II). Tanto più che c’è anche il problema dei sanitari non vaccinati (circa diecimila, contro i 4737 del settore scolastico). Possibile che l’Alto Adige, che con il turismo vive, sia disposto, per via dei no-vax, a mettere a rischio anche la stagione sciistica? Possibile che un certo “localismo” si nutra anche del “nemico” siero?

Dev’essere dura vedere, per esempio, che a Merano, cittadina molto no-vax, una scuola elementare è stata chiusa. Per cercare di risolvere la situazione anche per altre vie, Vettorato ha annunciato uno screening in tutte le scuole per i prossimi giorni, con un altro “balzo in avanti” rispetto alla formula nazionale: si useranno infatti tamponi nasali fai da te per evitare qualsiasi ipotesi di focolaio incontrollato (test non obbligatori, onde non incorrere in altre eventuali ondate di protesta). E pensare che neanche un anno fa si sognava, in Alto Adige, un futuro da zona d’avanguardia Covid-free, proprio grazie al “modello Bolzano”, dove il governatore annunciava l’intenzione di uscire dall’incubo Covid grazie “a un approccio attivo, non solo difensivo. Vogliamo andare a vedere dove gira il virus per fermarlo, per poter tornare a una situazione che non ha colore, ma può essere definita bianca”. Ora, invece di andare a caccia di asintomatici, a Bolzano ci si ingegna per disinnescare il no-vax.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.