Emma Bonino (foto LaPresse)

l'intervista

Emma Bonino: “Il ritiro da Kabul è la Caporetto degli Usa”

Luca Roberto

"Dissi che quella in Afghanistan era una guerra giusta? Non mi pento: la democrazia per fiorire ha bisogno di un aiuto. Il disimpegno americano risale a Obama, ma la scelta di Biden è un disastro". Parla la senatrice ed ex ministro degli Esteri

Quando si trattò di andare in Afghanistan a combattere accanto agli americani, lei la definì una “guerra utile”. Ancora, a distanza di lustri, le danno dell’accanita filoatlantica e le rimproverano di aver ostentato l’interventismo americano a mo’ di clava. “Eppure non mi sono pentita affatto delle mie posizioni, nonostante quel che sta accadendo in Afghanistan sia una delle più grandi débâcle della storia degli Stati Uniti, il segnale di un disinteresse americano oramai irreversibile sullo scacchiere internazionale”, racconta l’ex ministro degli Esteri Emma Bonino al Foglio.

Nel 2013, inviata in medio oriente per conto dell’Unione europea, Bonino provocò più di qualche sommovimento nella sinistra pacifista a oltranza perché disse che “in linea teorica la democrazia si può esportare”. “Anche se mi riferivo all’idea di facilitare un processo che si sarebbe dovuto sostenere da sé, non certo la vendita di un prodotto import/export”, puntualizza al telefono. Era la ventata di libertà che gli Stati Uniti volevano spandere nel mondo non occidentale. Non la atterriscono le dichiarazioni di Biden per cui l’unico interesse dell’America, ora come ora, è la salvaguardia degli americani? Che l’obiettivo, raggiunto dice il presidente, di quel conflitto era eradicare il terrorismo islamista? “Sono stata, all’epoca delle elezioni dello scorso novembre, uno dei pochi ad ammonire che la vittoria di Biden non ci avrebbe riportati indietro nel tempo, nonostante ci augurassimo tutti la sconfitta di Trump”, dice la senatrice. “Il leitmotiv ‘America is back’ non significava affatto che gli americani avrebbero rivolto di nuovo la loro attenzione nei confronti dell’Europa e del medio oriente. Fa parte di un disinteresse crescente maturato a partire da Obama, per esempio nel teatro di guerra iracheno, e che ha volto sempre maggiormente lo sguardo all’area del Pacifico, con la Cina come nuovo antagonista principale. Certo, ci si aspettava almeno che rispetto all’epoca precedente la nuova Amministrazione avesse competenze e relazioni migliori, oltre a essere ben predisposta nei confronti dell’Europa. Ma con il disimpegno in Afghanistan la sua immagine a livello mondiale è oramai ampiamente compromessa, visto che per l’approssimazione dimostrata dall’intelligence e dallo stesso Pentagono rappresenta una sorta di Caporetto del fronte Usa-Nato”.

Si tratta, insiste  Bonino, di un segnale di debolezza di cui è difficile predire l’evoluzione. “Anche se è molto probabile che questa riluttanza degli Stati Uniti ad assumere una leadership mondiale, insieme al ruolo sempre meno decisivo assunto dall’Alleanza atlantica, finiscano per agevolare gli altri attori presenti sullo scacchiere geopolitico. In queste ore l’Afghanistan dei talebani è già entrato a far parte del fronte alternativo insieme a Cina, Russia e Turchia. Sinceramente, pur con tutti i limiti, io preferisco rimanere saldamente dalla parte delle democrazie occidentali”. C’è anche da dire che in questi anni di vacanza dal ruolo di gendarme del mondo, non è che l’Unione europea abbia supplito all’assenza di una guida per l’occidente. “Credo che questa crisi sia l’ennesima occasione sprecata da un'Europa che riesce a decidere sempre e solo ognuno per sé. Altro che autonomia strategica”, rimarca l’ex titolare della Farnesina. “In realtà con la debolezza di Germania e Francia, alle prese con le elezioni, l’Italia avrebbe le carte in regola per assumere un ruolo da protagonista”. Anche se nel dibattito pubblico del nostro paese è difficile cogliere letture che vadano oltre la semplificazione della “guerra sbagliata sempre”. E’ il caso, tra gli altri, del segretario del Pd Enrico Letta, che le parole di Gino Strada le appone ormai come un manifesto programmatico. Condivide? “Un conto è la politica e un altro è il lavoro lodevole delle organizzazioni umanitarie. Non riuscire a distinguerle significa certificare il fallimento delle soluzioni che la politica deve offrire. E del resto analizzare l’intervento in guerra nel 2001 con gli occhi di oggi lo trovo piuttosto bizzarro”, risponde pazientemente la storica leader radicale. La disturbiamo per un’ultima curiosità: ritiene che la nuova postura degli Usa sia una parentesi della storia? O che invece le immagini delle persone incollate ai carrelli degli aerei segnino il tradimento definitivo nei confronti delle loro aspirazioni alla libertà? “Resto convinta che la statura internazionale di Biden, dopo un’evacuazione così confusa e che mette a rischio migliaia di collaboratori afghani, resterà macchiata per molti anni a venire. Quel che sarà dopo non lo sa nessuno”.

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