(foto Ansa)

L'Aula sorda e (furba) e il monito di Mattarella sui decreti

Guido Gentili

Sulla decretazione d'urgenza non è cambiato niente, nonostante l'appello del capo dello stato

Certo, i richiami del Colle. Per non dire dell’austero Comitato di controllo per la legislazione (organo della Camera che fu guidato anche da Sergio Mattarella), presieduto oggi dall’onorevole professore Stefano Ceccanti. Però si deve pur andare avanti senza sottilizzare troppo. E dunque vai con l’emendamento sempre in canna e con il testo che s’allunga a colpi di commi e diventa un’altra cosa: il caro e sempreverde “decreto omnibus” che fa tante fermate e passando imbarca di tutto. Nell’interesse del paese, sia chiaro, della sovranità del Parlamento e della democrazia.

Complice anche una certa idea (sbagliata) per la quale il “semestre bianco” del presidente della Repubblica – gli ultimi sei mesi del mandato durante i quali non può sciogliere le Camere – si traduce in un generale depotenziamento dei poteri del Quirinale mentre i partiti possono giocare con mani più libere, a Montecitorio hanno un po’ tutti pensato di rimettere subito nel cassetto la lettera che solo il 23 luglio scorso Mattarella aveva scritto ai presidenti di Senato e Camera, Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico, e al presidente del Consiglio Mario Draghi.

La missiva parlava chiaro. In sostanza Mattarella scriveva: ho letto il testo finale del decreto “Sostegni” (393 commi aggiuntivi rispetto ai 479 originari) e registro che esso sconfina su “materie estranee” alla lotta contro Covid-19. Cosa c’entrano, per esempio, la riforma dello sport, la riorganizzazione delle Camere di commercio in Sicilia e i permessi per costruire nuovi edifici residenziali? No, così la decretazione d’urgenza non funziona, è insostenibile e vi ricordo che il problema lo avevo già sollevato l’11 settembre 2020. Ho promulgato ora la legge perché siamo in emergenza e non ho voluto creare problemi a cittadini e imprese. Sappiate per il futuro che se necessario mi avvarrò dei poteri previsti dall’articolo 74 della Costituzione (Il presidente, “prima di promulgare la legge può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata”). Cari parlamentari tutti, caro governo, pensateci bene.

Loro, i deputati, o non ci hanno pensato o hanno fatto spallucce. E alla prima occasione, che si è presentata proprio il 23 luglio con l’emanazione (da parte del governo) del nuovo decreto legge di contrasto a Covid-19 e sul green pass, si materializza la fioritura possente degli emendamenti. Il decreto nasce asciutto (14 articoli, 27 commi e un allegato) e sbarca alla commissione Affari sociali presieduta da Marialucia Lorefice (M5s). Qui pochi giorni dopo sbocciano 1.300 emendamenti (916 della Lega: a proposito, quanti ne verranno ritirati, dopo la marcia indietro di Matteo Salvini successiva all’incontro con Draghi?) e tornano le norme aliene. Tipo le nomine negli enti Parchi, le posizioni dirigenziali negli uffici dell’Istruzione pubblica, la soppressione delle circoscrizioni giudiziarie di Chieti e L’Aquila, gli allevamenti degli animali da pelliccia, l’abrogazione delle norme in materia di lotta all’occupazione abusiva di immobili, anche residenziali.

C’è da dire che il 4 agosto la presidente Lorefice ha elencato le prime inammissibilità, ma la battaglia in Parlamento si annuncia lunga e difficile fino alla scadenza del dl prevista per il 21 settembre. Mentre il “monito” di Mattarella appare di fatto ai partiti come una pagina già scolorita. E archiviata. Ma qui sta l’errore. Perché il depotenziamento dei poteri del Quirinale non esiste e perché il presidente è determinato più che mai a non permettere che la decretazione d’urgenza si risolva un’altra volta in un capitolo pasticciato proprio ora che con l’attuazione del Pnrr l’Italia si gioca la sua credibilità. E si può immaginare che impatto avrebbe la scelta (peraltro a ridosso delle elezioni amministrative del 3 ottobre) di un “messaggio motivato” alle Camere ai sensi della Costituzione. Non a caso, Mattarella aveva chiesto di pensarci bene. L’hanno presa come una cortese, quanto inutile, richiesta di riflessione. Sbagliando: era un atto politico.

Di più su questi argomenti: