Matteo Renzi (Ansa)  

Il nuovo libro

Controcorrente, "Django" Renzi e le parole

Paolo Landi

“La politica non è vendetta”, scrive il leader di Iv, che si diverte (e diverte) a distribuire scudisciate ai suoi nemici e ai loro strafalcioni. Sul ruolo dei social però è un po’ datato 

C’è un passo esilarante nel nuovo libro di Matteo Renzi Controcorrente (Piemme, 2021) che sintetizza, in una pagina, l’approssimazione con la quale i grillini hanno governato l’Italia per più di tre anni, la loro idea di politica e il fairplay renziano, espresso qui in poche righe di educata perfidia. Racconta Renzi che Conte lo convoca a Palazzo Chigi, dicendogli che lo vuole vedere da solo. “Con una certa dose di ingenuità” scrive Renzi, “mi convinco che il premier sia pronto ad accogliere i nostri suggerimenti, i consigli, le critiche per poi fare le proprie scelte in autonomia”.

 

Invece Conte, dopo avergli fatto lasciare il telefono dentro a una scatola che impedisce le intercettazioni, “fornita dai Servizi”, va subito al dunque: “Ho letto che vuoi fare il segretario generale dell’Onu”, gli dice, “io sono a tua disposizione per darti una mano e il sostegno del governo italiano”. Renzi ringrazia gentilmente della disponibilità ma si vede costretto a informare Conte che le Nazioni Unite hanno in carica un segretario generale europeo e quindi, per il principio di rotazione, toccherà di nuovo a un europeo tra una ventina d’anni. È la Nato, non l’Onu, quella di cui i media parlano, spiega Renzi a Conte, una sta a Bruxelles, l’altra a New York: “E non è nemmeno la differenza principale”. Il libro di Renzi sembra una sceneggiatura di Quentin Tarantino, racconta fatti già accaduti e, come fa il regista di Django e Bastardi senza gloria non rinuncia al piacere di vendicare gli spettatori: lo schiavo nero frusta finalmente il bianco oppressore e l’ebreo tortura il nazista, in scene catartiche che rimettono in pari con le ingiustizie storiche (ma Renzi saggiamente avverte: “La politica non è vendetta, non si fa politica con il risentimento personale“).

 

Ce n’è per tutti, in questo House of Cards all’italiana (“Anziché scrivere un libro, dovrei scrivere una serie televisiva, perché i colpi di scena della politica italiana sono più sorprendenti dei film americani”), dove gli intrighi del potere hanno gli stessi ingredienti delle lotte antiche e moderne ad ogni latitudine del globo: la manipolazione, i tradimenti, lo spietato arrivismo. La famosa frase “state giocando con la salute degli italiani” proferita dal 98 per cento dei media e dell’opinione pubblica contro Renzi quando fece cadere il governo Conte, con il senno di poi e con Draghi acclamato salvatore della patria, permette a Renzi di togliersi una soddisfazione: “Non stavamo giocando con la pelle degli italiani, li stavamo salvando da Ciampolillo”. Il parlamentare pugliese e la ex pasionaria di Berlusconi Anna Maria Rossi, co-imputata con il Cavaliere nel processo Ruby, assurti agli altari per salvare con i loro voti l’avvocato grillino, provocano all’educato Renzi, riandando con la memoria agli ulivi che si salvano dalla Xylella con l’abbraccio e alle teorie sullo “psiconano”, “una sincera ilarità”. E un sentimento di intimo godimento glielo induce riportare la data del 17 dicembre 2020, quando Marco Travaglio, spazientito come spesso gli capita, sbotta a Otto e mezzo: “Dopodiché se qualcuno vuole fare il governo Draghi lo chiami, così scopriranno finalmente che non è disponibile”.

 

Come sappiamo, Draghi fu disponibile pochi giorni dopo. “Che profeta, ragazzi”, la scudisciata di Django vendica tre anni di propaganda e disinformazione inflitte da Travaglio & Company agli spettatori innocenti della televisione di Urbano Cairo. Il povero Dario Adamo, responsabile della comunicazione social di Palazzo Chigi, “digital maker di Rocco Casalino, cresciuto nella Casaleggio & Associati” fa una figura di quelle che, se si ha un minimo di amor proprio, si continua ad arrossire, ripensandoci, fino alla morte. Mette, sulla pagina ufficiale di Giuseppe Conte, presidente del Consiglio, una foto del profilo migliore di Conte stesso con a fianco un’immagine grottesca di Matteo Renzi. Sotto la caption (molto “istituzionale” non c’è che dire): “Se vuoi mandare Renzi a casa e supporti Conte iscriviti al Gruppo!”. Costretto a fare rapidamente marcia indietro, invece di prendersi la responsabilità e scusarsi di aver fatto un’idiozia, obbedisce agli ordini di Casalino e tira in ballo addirittura un tentativo di hackeraggio “da parte di qualcuno che in un momento così delicato potrebbe aver agito intenzionalmente per danneggiare l’immagine del presidente”, non rendendosi conto che avanzare il sospetto che il sito di Palazzo Chigi sia stato hackerato “è decisamente più grave” dell’aver organizzato quella campagna social contro Renzi.

 

Toninelli (allora ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti), tra le centinaia di sciocchezze che uscivano dalla sua bocca, dice a un certo punto che “senza il Movimento 5 Stelle Salvini non avrebbe potuto fare niente”: si riferisce alla chiusura dei porti alle navi dei migranti, scelta per la quale Salvini (supportato dal ministro dei Trasporti) è indagato. Chiamato a testimoniare, a Toninelli viene consigliato di dire “non ricordo” e “quarantadue volte dice di non ricordare quel che ha fatto qualche mese prima… uno schiaffo alla verità ma soprattutto un insulto all’intelligenza. Di tutti noi, non quella di Toninelli, meglio precisarlo” chiosa Renzi. Una vena ironica e leggera pervade questo libro dove Renzi appare in una posizione di forza: la storia, o meglio la cronaca, che gli ha dato ragione molte volte, non lo preserva però da una certa amarezza quando parla del Pd, di Letta per il quale “non può essere che Conte a guidare l’Italia” (un mese dopo questa dichiarazione al Corriere della Sera arriva Draghi), di Del Rio “che avevo voluto come fratello maggiore a Palazzo Chigi e che mi aggredisce per primo” (“Renzi, provocando la crisi di governo… ha provocato una ferita sanguinante che ha coinvolto tutto il Paese”). Da questo resoconto spietato, condotto usando la retorica della sincerità a tutti i costi, dell’andare “controcorrente”, del dire “cose che gli altri non dicono”, Renzi non lascia fuori niente: smonta la propaganda sull’aereo di stato, sulle consulenze pagate all’estero, sulla solidarietà di Berlusconi nei momenti più difficili (della quale è grato), sugli incontri in Autogrill.

 

Tutto viene spiegato con puntigliosità, raccontato nei minimi dettagli, anche la pena di vedere la sua famiglia coinvolta, anche la causa per danni di immagine al Pd, intentata a Beppe Grillo, per via delle campagne d’odio e diffamazione messe in atto dal comico: “chiedemmo un milione di euro che avremmo devoluto alle anemiche casse del Pd sui territori”. Ma “la nuova gestione del Pd ha deciso di bloccare questa causa sacrificando l’onore degli iscritti e delle loro famiglie sull’altare del tributo al grillismo”.

 

Qui Tarantino il vendicatore è costretto ad abbozzare. “Controcorrente” è anche il libro del confronto tra la politica e le nuove piattaforme digitali: tra il vecchio e il nuovo, verrebbe da dire. Innumerevoli volte Renzi parla di una politica “che vive di idee e non si piega alla logica dei sondaggi e degli influencer” della “differenza tra essere un influencer ed essere uno statista”, “delle elezioni che non si vincono con i like su Instagram” perché “formulare ipotesi divergenti” vuol dire essere accusato “di tradimento presso l’Alta Corte dei Social”; “la politica non è mettere like sui post del capo”, “per Facebook il problema sono i like, non i contenuti, così in politica non valgono le idee ma il grado di presunto consenso”. “Prima degli indici di gradimento vengono le statistiche sull’occupazione, sul Pil, sulla fiducia delle imprese”. “I messaggi whatsapp audio e scritti di Casalino (molti dei quali vengono inviati e poi cancellati subito)”, “orchestrare una campagna di distruzione dell’immagine altrui è una moderna forma di squadrismo digitale”, “non importa risolvere i problemi, basta raccontare in modo ammaliante di averlo fatto”, “l’unica medicina contro le fake news è il tempo”, “lanciano l’hashtag #avanticonte su Twitter, chiudono la porta al dibattito. Sono convinti di aver ragione su tutto“, “l’hashtag #avanti conte è primo nei trend topic. Hanno capito tutto”, “tocca alla politica risolvere le crisi, non alle pagliacciate sui social“, “i deputati del Pd sono i più convinti twittatori del verbo contiano”, “lo scontro non è tra il caratteraccio di Renzi e la gentilezza di Conte, come gli uffici stampa di Palazzo Chigi vorrebbero far credere nella costante litania trasformata in storytelling”, “la fiducia si ottiene in Parlamento non sulla piattaforma Rousseau”.

 

L’approccio di Renzi a queste tematiche appare datato, non all’altezza delle argomentazioni brillanti con cui ha trascinato il lettore in questa specie di epopea alla Martin Eden, dove il presunto sconfitto trionfa tra capacità di resistere, lucidità ideologica, desiderio di vincere. L'attacco al capitalismo ottocentesco del protagonista del romanzo di Jack London si trasfigura qui nell’attacco al nuovo capitalismo digitale dei social. Come per molti scrittori americani di oggi, per esempio Jonathan Franzen (i politici invece sono accorti e non si lanciano astutamente in questo tipo di battaglie) la rete sembra un sistema di prevaricazione e di controllo più che una nuova forma di democrazia. Ma, lo si evince anche dal ricorrere dei social nel libro di Renzi, la rete è ormai parte della nostra quotidianità, non è più un’opzione tecnologica che assoggetta gli uomini e li manovra. O meglio, è anche questo, ma fermarsi al diabolus ex machina per descrivere i social senza affrontare il fatto che sono ormai parte della consuetudine delle nostre giornate, proprio come l’amore, il dolore, il lavoro, il sesso, le merci, vuol dire avere una visione parziale della rivoluzione tecnologica in atto.

 

Per questo sembra sopravvalutato il ruolo di Rocco Casalino, presentato in “Controcorrente” come l’artefice di una narrazione propagandistica: “senza Casalino il personaggio Conte non sarebbe mai uscito dai confini di quello che Conte realmente è, un modesto avvocato, neutro frequentatore di salotti romani di seconda categoria, prudente equilibrista. È Casalino che fa la differenza, è Casalino che costruisce il personaggio Conte, è Casalino che si intesta la tenuta, la strategia, la visione politica”. Il tema sembra piuttosto un altro: se un’abile regia social nasconde i fatti facendo passare al loro posto le interpretazioni, occorre riportare la realtà al centro delle trame. La rete ci offre un luogo: sta a noi appropriarsene in modo che “ci appartenga”. Non puntare il dito contro chi lo fa suo, restandone al di fuori e sprecando energie per dire che la politica, il sesso, il lavoro, l’amore “sono un’altra cosa”. Purtroppo sono anche Instagram, Facebook, Twitter, TikTok, anzi, lo sono sempre di più, il potere invasivo delle piattaforme social necessita di un approccio laico, probabilmente cinico, ma difendere le nostre libertà nel mondo digitale non può essere lasciato al caso o agli avversari.

 

Poi è certamente vero, come dice Renzi, “che il Parlamento non è Instagram” ma la politica al tempo dei social non può permettersi di stilare liste di buoni e cattivi, dove i “cattivi“ sono Casalino e Morisi (social media manager di Salvini), diffusori di fake news e di ritratti agiografici dei loro capi e i “buoni” sono quelli che li stanno a guardare scuotendo la testa. La democrazia sarà minacciata dai social media solo se, per una malintesa forma di “intelligenza”, i migliori la snobberanno, lasciandola ai terreni incolti dei predatori del web. Piuttosto che esaltare queste modeste figure di contorno, meglio riconoscere che Morisi e Casalino sono pessimi gestori dell’immagine di Salvini e Conte: tra gaffe e discorsi “alla pancia” del paese hanno letteralmente distrutto la reputazione dei loro capi. Un’azienda privata li avrebbe licenziati da tempo. Matteo Renzi ha scritto un libro avvincente, a prescindere dalle idee politiche di chi lo leggerà, ricco di spunti di riflessione. Forse dovrebbe leggerlo per primo chi ha sempre osteggiato questo uomo appassionato di cosa pubblica fin da quando era ragazzo, studiandola e praticandola partendo dal basso, certamente non approdato alla politica sull’onda di un “vaffanculo”.

 

Ci troverà anche un’accorata confessione del dolore che la politica può procurare. Ripensando alle minacce e alle offese ricevuti da parte della maggioranza degli italiani, anche da suoi presunti amici, scrive: “Io che riesco a lasciarmi scivolare addosso tutto il fango, le accuse, gli insulti stavolta ho avvertito – forse per la prima volta – il peso delle cicatrici del cuore. Mi hanno fatto male, stavolta”.

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