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Siamo contenti di questa Unione europea?

Sabino Cassese

Una comunità di valori condivisi, ma uno gnomo finanziario. Il progresso continuo dell’istituzione e le spaccature interne ed esterne. Dialogo su due idee di Europa, ripensando a Schuman e De Gaulle

Robert Schuman e Charles de Gaulle, ambedue francesi, erano coetanei. Il primo era nato nel 1886, il secondo quattro anni più tardi. Il primo fu ministro degli Esteri dal 1948 al 1952; il secondo presidente della Repubblica dal 1959 al 1969. Il primo è passato alla storia per la sua “dichiarazione” del 1950, in cui proponeva l’istituzione di una comunità del carbone e dell’acciaio, un’istituzione europea sovranazionale, per rendere una nuova guerra impossibile. Il secondo per essere stato sostenitore di una Europa delle nazioni, contro l’Europa sovranazionale. E’ per questo motivo che i due interlocutori si chiamano l’uno Robert e l’altro Charles.

 

Robert. L’istituzione del “Green Pass”, l’ultimo atto dell’Unione europea è la prova che l’Unione è sempre più unita. Aveva soppresso le barriere doganali, ora sopprime quelle sanitarie.
Charles. Ma è anche la dimostrazione dell’insufficienza dell’Unione che non soltanto non è riuscita a fronteggiare unita la pandemia, ma ha anche subito chiuso le frontiere in una nuova forma di nazionalismo, il nazionalismo sanitario.
Robert. Non è vero che non abbia fronteggiato unita la pandemia. Basta dire che l’Unione europea è stata l’acquirente unico dei vaccini.
Charles. Ma non è riuscita, nonostante sia una delle maggiori potenze industriali del mondo, a produrre vaccini nella stessa misura in cui l’hanno fatto gli Stati Uniti, la Cina e il Regno Unito.
Robert. In quello che forse è il suo discorso d’addio, tenuto il 24 giugno scorso al Bundestag, Angela Merkel ha dichiarato che la Germania sostiene la creazione di una Unione della salute e di una nuova autorità sanitaria, denominata “Autorità di preparazione e risposta alle emergenze sanitarie”. Un’altra prova del fatto che – come disse Helmut Schmidt – “l’Europa vive di crisi”. Tutti i suoi squilibri creano il movimento. Una moneta unica senza il potere della Borsa e un’Unione bancaria senza l’assicurazione dei depositi creano le condizioni perché si debba fare il passo successivo. L’Unione europea va vista come un processo continuo di crisi e di progresso.
Charles. Ma questo processo è lento. E uno degli appunti fatti dai regimi autoritari alle democrazie (nazionali e  sovranazionali) è l’incapacità di prendere decisioni rapide.
Robert. Ma l’Unione riesce a decidere rapidamente (anche se non sempre). Ad esempio, con la pandemia, ha sollecitamente modificato temporaneamente il regime degli aiuti e i vincoli di bilancio, utilizzando le clausole dei trattati che consentono regimi eccezionali. E l’Unione è altrettanto sollecitamente giunta a stipulare un accordo bilaterale con la Cina in materia di investimenti. 
Charles. Ma su altre materie è incapace di giungere a una decisione: così sulla materia delle immigrazioni. Anche lo spiraglio che pare aprirsi (di affrontare il problema direttamente nei paesi di origine) sembra più una promessa che una realtà, per le evidenti complicazioni e per i costi.
Robert. Non bisogna confondere problemi di breve periodo con questioni che riguardano l’umanità sul lungo periodo. L’immigrazione è fenomeno che origina dalla sproporzione di ricchezza e di popolazione tra Europa, da un  lato, e Africa e vicino Oriente, dall’altro.
Charles.  E che dire della qualità della guida europea? Un autorevole membro della Camera dei pari britannica, già ministro nei governi Blair e Brown, Andrew Adonis, ha definito, in un articolo del 7 giugno, Ursula von der Leyen “Europe’s second rate first lady”, sostenendo che è il frutto del nepotismo (suo padre era Ernst Albrecht) e che appartiene alla categoria dei politici provenienti dalle grandi famiglie, come la Clinton, il Bush, il Gandhi.
Robert. Invece, l’Economist del 30 aprile ha messo in luce come centri potenti possono svilupparsi sotto leadership deboli, paragonando l’attuale presidente della commissione europea a Jacques Delors. Nessuno dei due era stato capo del proprio governo nazionale e ambedue erano arrivati a Bruxelles quando per loro non vi erano più prospettive politiche nazionali.

 

Charles. Lasciamo lo scivoloso campo dei politici e ritorniamo alle istituzioni. L’Unione rimane a mezza strada, divisa in due, in parte comunitaria, in parte intergovernativa; in parte federale, in parte confederale.
Robert. Conosco l’obiezione. Proviene dalla ripetuta comparazione con gli Stati Uniti, un paragone fuorviante. In primo luogo, le 13 colonie britanniche, all’inizio, alla fine del 700, avevano meno di 5 milioni di abitanti, mentre l’Unione europea ha cominciato con 180 milioni. In secondo luogo, negli Stati Uniti l’unificazione politica ha preceduto quella economica, mentre nell’Unione europea è accaduto il contrario. In terzo luogo, l’Unione americana è stata così poco unita nella fase iniziale che è stata lacerata da una guerra intestina, la guerra di secessione.
Charles. Ma ora gli Stati Uniti sono una nazione e uno Stato, uniti sia dal punto di vista sociale, sia dal punto di vista statale.
Robert. Vediamo il lato positivo dell’intergovernatività dell’Unione: gli Stati, i governi nazionali, avrebbero ceduto tante competenze in materie una volta loro dominio esclusivo, se non avessero mantenuto, tramite il Consiglio che decide all’unanimità, una mano sulle materie trasferite? Una mano, naturalmente, non esclusiva, una “voce” in un collegio, ma in grado di esercitare un potere di blocco, in caso di forti disaccordi?
Charles. Ma, facendo così, l’Unione si è destinata a essere in parte più simile a una organizzazione internazionale che a una organizzazione sovranazionale, tant’è vero che un osservatore acuto di questa dinamica, come Sergio Fabbrini, ha scritto che vi è una “tirannide della minoranza”, che si esercita in particolare su materie molto controverse, come l’immigrazione.
Robert. Anche l’Unione europea, come gli Stati Uniti, ha avuto i suoi successi. In 70 anni è passata da sei a 27 paesi, una grande prova di forza aggregatrice. Si è sviluppata, nello stesso periodo, anche sotto il profilo delle funzioni: nel 1951 il carbone e l’acciaio; nel 1957 l’energia atomica e l’economia; nel 1992 l’allargamento ad altri compiti. Negli anni dal 1993 al 2009 l’Unione. Anche la sua base di legittimazione si è ampliata: nel 1958 c’era un’assemblea parlamentare che nel 1962 è diventata un Parlamento e nel 1979 è stato composto da persone elette direttamente dal popolo. Infine, vi sono valori condivisi che si sono affermati nell’Unione europea, non ancora negli Stati Uniti: ad esempio, il rifiuto della pena di morte. Oggi l’Unione estende le sue competenze dai generi alimentari all’agricoltura, alla pesca, all’ambiente, al clima, all’energia, alla cultura, oltre che all’economia, la concorrenza, gli aiuti di Stato. Aggiungo che l’Unione europea è anche la fusione di tradizioni culturali e politiche diverse, oltre che di nazioni diverse. Basta pensare alla provenienza di Alcide De Gasperi, di Robert Schuman, Jean Monnet, di Konrad Adenauer. Oggi l’Unione conta circa 440 milioni di abitanti, una dimensione minima indispensabile per poter trattare con la Cina che di abitanti ne ha un miliardo e 400 milioni, con l’India che di abitanti ne ha un miliardo e 300 milioni, con gli Stati Uniti d’America, che di abitanti ne hanno 330 milioni.

Charles. Come si può paragonare l’Unione a quei grandi Stati? L’Unione è uno gnomo finanziario. La dimensione del suo bilancio è pari a quella dei bilanci di due o tre grossi comuni europei. Il “nazionalismo fiscale”, nonostante l’unione monetaria, è una palla al piede dell’Unione. 
Robert. Ma l’Unione sta acquisendo un “power of the purse”. Paradossalmente, è proprio la pandemia che ha chiuso gli europei in casa, chiuso parzialmente le frontiere, messo a terra gli aerei, fermato i treni, ad aver dato una spinta verso la dotazione di un potere finanziario dell’Unione. Angela Merkel, nel suo discorso del 24 giugno scorso al Bundestag, ha osservato che l’Europa è ora in grado di raccogliere capitali sul mercato finanziario.
Charles. Ma il Recovery Fund è misura provvisoria, destinata a terminare nel 2026.
Robert. Una temporaneità annunciata, ma con la segreta speranza di molti Paesi che diventi permanente. D’altra parte, gli eurobond erano stati proposti da tempo. Quando i titoli di debito europei verranno a scadenza, saranno rifinanziati sul mercato, come fanno i tesori nazionali. E, dall’altra parte, bisognerà mobilitare risorse proprie, per evitare di dover ricorrere all’aumento dei trasferimenti degli Stati. Il potere di imporre tasse è un attributo proprio della sovranità e da tempo si discute di quali tasse europee riscuotere, ad esempio la tassa digitale e la “carbon tax”. L’acquisizione di un potere di bilancio da parte dell’Unione, con la possibilità di aumentare le entrate proprie (tramite debiti e tramite imposizione fiscale) è agevolata dall’uscita del Regno Unito dall’Unione.

Charles. Ma la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, parlando il 27 maggio 2020 al Parlamento europeo ha detto che questo non è il primo passo verso la creazione di un “Tesoro europeo”.
Robert. Intanto, è importante che l’Unione europea, gigante regolatorio, perda la sua natura iniziale di nano finanziario. Per l’Unione è stato più volte menzionato l’esempio della bicicletta: bisogna pedalare per non cadere. 
Charles. E i debiti nazionali? L’unità d’Italia fu una realtà concreta quando i debiti degli Stati preunitari vennero assunti dal nuovo regno d’Italia. Anche dal punto di vista dello staff, l’Unione è poca cosa: ha solo 43 mila addetti.
Robert. Ma non bisogna dimenticare che, per adoperare l’espressione di Jean Monnet, l’Unione non fa, ma fa fare. E che i trattati dispongono che l’Unione sarà “sempre più stretta”, che vuol indicare una formazione progressiva. Gli Stati si sono affermati in un arco di tempo oscillante tra tre e cinque secoli. L’Unione ha già fatto passi da gigante in poco più di mezzo secolo.
Charles. Anche lo sviluppo istituzionale dell’Unione è incompleto. Ha due teste, la Commissione e il Consiglio: la prima comunitaria, la seconda intergovernativa. Il Parlamento, anche se eletto direttamente dai popoli europei, non ha né una piena funzione legislativa, né una piena funzione di legittimazione dell’esecutivo europeo.
Robert. Nonostante questa incompletezza, l’Unione, forse proprio quando è stata più contestata, ha acquisito rilevanza politica, è diventata un oggetto discusso in tutte le sedi nazionali.
Charles. Ma questo progresso non è stato ancora codificato. A mala pena si affacciano tentativi di costruzione di partiti autenticamente europei; le difficoltà linguistiche rendono difficile la creazione di una vera e propria opinione pubblica europea, è difficile parlare di un popolo europeo.
Robert. Intanto, l’Unione continua ad arricchirsi di altri strumenti, non solo all’interno, ma anche all’esterno. Ad esempio, il Fondo europeo di stabilità, poi diventato Mes, Meccanismo europeo di stabilità, in parte a condizionalità semplificata, in parte a condizionalità rafforzata, è un’istituzione importante che è servita alla Spagna alla Grecia, al Portogallo, all’Irlanda, a Cipro. Eroga fondi, collegati all’obbligo di ristrutturare, come naturale per qualunque prestatore che voglia assicurarsi che il debitore sia in grado di restituire le somme prese a prestito.
Charles. Questo meccanismo della “condizionalità”, che consente di utilizzare lo strumento finanziario per ottenere riforme è interessante, ma non gradito dagli Stati.
Robert. Lo stesso meccanismo è stato utilizzato dal noto compromesso Merkel del 2020, sulla base dell’articolo 311 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che consente al consiglio di stabilire le misure di esecuzione. In questo caso si è trattato di erogazione di fondi vincolati al rispetto dello Stato di diritto, con una sorta di giurisdizionalizzazione dei conflitti. Vengono così stabiliti “linkages”, uno strumento molto adoperato nell’ambito del diritto globale, dove non si può imporre un obbligo, ma si ottiene la “compliance” grazie all’uso del denaro. In questo modo, si collega il bastone alla carota ottenendo il rispetto di alcuni principi grazie all’uso di risorse finanziarie, e, nello stesso tempo, si rafforza il ruolo dell’Unione europea, che diventa un emittente di obbligazione sui mercati finanziari, diventa un intermediario finanziario.

Charles. Ma nell’Unione europea vi sono faglie importanti. La prima è la spaccatura sui diritti, che contrappone Polonia e Ungheria alla tradizione europea. Il nazionalismo di questi due paesi rinnega l’idea di fratellanza universale della Chiesa, l’aspirazione internazionalista del socialismo, il progetto degasperiano dei vincoli esterni e insieme lo Stato di diritto.
Robert. Ritorno alle condizionalità: i “linkages” sono l’unico modo per assicurare il rispetto di regole uniformi tra Stati sovrani, condizionando l’esercizio della sovranità. Bisogna rispettare standard condivisi, se si vogliono ottenere risorse. Le organizzazioni internazionali non hanno unghie, e lo stesso si può dire degli Stati rispetto ad altri Stati: quindi, standard comuni possono essere fatti rispettare in questo modo.
Charles. Un’altra faglia è quella aperta dal Tribunale costituzionale tedesco che in una lunga serie di decisioni, di cui una recente, ha, in sostanza, stabilito che non è la Corte di giustizia dell’Unione europea, bensì la Corte costituzionale tedesca ad avere l’ultima parola; che la Corte tedesca ha il potere di controllare la proporzionalità delle decisioni di autorità europee e prescrivere loro comportamenti; che la clausola dei trattati su “un’Unione sempre più stretta”, una disposizione dinamica, che consente all’Unione di esercitare nuove competenze da sola, ha sempre bisogno di conferimenti espressi da parte degli Stati. Così viene ridotta la forza dell’Unione.
Robert. La Corte costituzionale tedesca ha sempre abbaiato senza mordere e Parlamento e governo tedesco, pur manifestando un ossequio formale alle sue decisioni, sono andati per un’altra strada, anche perché sono loro che rappresentano il popolo tedesco, non la Corte costituzionale. Non va sottovalutato, infine, quanto osservato da Claudio Cerasa il 24 giugno scorso, sulla sovrapposizione tra vincolo esterno e interesse nazionale. Quando le condizioni poste dall’esterno agli Stati nazionali e l’interesse degli Stati nazionali combaciano, si può dire che l’Unione ha raggiunto il grado di sviluppo ottimale.

 

Charles. Ma intanto nei tre grandi paesi dell’Unione, come mostrato da una recente ricerca francese, la destra oscilla tra il 36 e il 44 per cento. E la destra è sovranista.
Robert. Non concordo: il tradizionale nazionalismo (preferisco questo termine) delle destre in Europa è stato messo a tacere dalla capacità dell’Unione di abbassare i vincoli finanziari, di raccogliere risorse sul mercato, per distribuirle, e dalla pronta reazione in materia di vaccini. Inoltre, le destre non si sono opposte ai piani di ripresa e resilienza, nonostante che con le risorse europee siano venuti anche obiettivi e controlli. Non dimentichiamo che è l’Unione che ha stabilito gli obiettivi, è l’Unione che approva le proposte nazionali, è l’Unione che controlla l’esecuzione, condizionando il trasferimento delle diverse “tranche” del finanziamento al raggiungimento degli obiettivi volta a volta indicati dagli Stati sulla base delle macro-finalità stabilite a Bruxelles.
 

Charles. Non si può nascondere che, oltre alle fratture interne (nazionalisti-sovranazionalisti), ci sono quelle esterne (tra paesi frugali e paesi che non lo sono, tra paesi orientali e paesi occidentali).
Robert. Anche – e forse soprattutto – di questo dovrà occuparsi la conferenza sul futuro dell’Europa, perché questi sono elementi che rendono l’unione più anemica. Ma dobbiamo ricordarci che secoli di lotte interne e di differenziazioni hanno creato in Europa una situazione interna non diversa da quella che trovò Richelieu in Francia, una situazione che egli definiva di “déreglèment”. Come il grande cardinale alla metà del Seicento in Francia, così oggi l’Unione deve mettere ordine al proprio interno e aprire le porte tra gli Stati. C’è bisogno di un nuovo razionalismo, di un nuovo Cartesio, che disegni la struttura di fondo di questo nuovo Stato sovranazionale superando i particolarismi che oggi non sono meno forti di quelli di tanti sei secoli fa, così come oggi è necessario superare quelle barriere che erano una volta le piazzeforti che Richelieu fece abbattere.

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