Gli amichetti sovranisti

Paola Peduzzi, Micol Flammini, David Carretta

Chi sono, cosa vogliono e quanto pesano nell’Unione europea i partiti che hanno firmato con la Lega e Fratelli d'Italia la Carta dei valori contro la sottomissione all’ideologia di Bruxelles 

Quindici partiti europei (erano sedici ma uno, il JA21 olandese, se n’è andato subito) hanno firmato venerdì scorso una dichiarazione congiunta, una “Carta dei valori”, per un’Europa “rispettosa dei popoli e delle nazioni libere”, che si ribella al fatto che “i popoli siano sottomessi all’ideologia burocratica e tecnocratica di Bruxelles che impone norme in tutti gli ambiti della vita quotidiana”. Questa alleanza d’intenti lancia una “resistenza legittima” a un “superstato europeo” che è “la manifestazione della pericolosa e invasiva ingegneria sociale del passato”. Tra i firmatari ci sono la Lega di Matteo Salvini e i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Siamo andati a vedere chi sono e cosa pensano i partiti con cui i sovranisti italiani stanno tessendo, con enfasi differenti (Meloni è più cauta), le loro alleanze. 

 

La firma del partito di governo in Ungheria guidato dal premier Viktor Orbán è la più importante perché le geometrie politiche in Europa si stanno costruendo attorno a lui. Fidesz non fa più parte del Partito popolare europeo dopo anni di contrasti e ora sono senza gruppo nei “non iscritti”. Cerca casa e intanto detta le parole chiave che ritornano anche nella dichiarazione congiunta: se si guarda la pubblicità che il governo Orbán sta cercando di piazzare sulle testate europee, non si trovano differenze con la dichiarazione congiunta. L’Europa delle nazioni che vuole Orbán esclude qualsiasi genere di integrazione valoriale, rifiuta la solidarietà interna, vuole autonomia sovrana in materia di diritti e non prevede una netta separazione dei poteri. In sostanza questa Unione europea è soltanto economica: i fondi servono, tutto il resto “spoglia le nazioni dei loro diritti”.

 

Nel fine settimana c’è stato il congresso del partito di Marine Le Pen, che ha sancito la rottura con il passato (“non torneremo indietro al Front national”, il partito del padre Jean-Marie Le Pen che soltanto qualche giorno fa aveva detto: o il Rassemblement national mostra “virilità” o è spacciato) e la creazione di un partito di governo non di contestazione: “E’ un’evoluzione sana e necessaria che si incarna in quello che siamo diventati, un partito aperto a tutti, creativo e audace”, ha detto la Le Pen. La Francia si prepara alle presidenziali, il nemico è Emmanuel Macron  ma la nazione è sotto attacco non soltanto da parte dell’attuale presidente: “La nazione francese oggi è attaccata, scossa alla base dal separatismo e dal mondialismo con il suo braccio armato: l’Unione europea”. La Le Pen spera che questa Carta dei valori sia  il primo passo verso un’alleanza politica strutturata in Europa contro “l’ispirazione totalitaria dell’Ue”, che è uno dei mantra fissati da Orbán.


Diritto e giustizia è il partito che governa la Polonia dal 2015 e che dopo le elezioni nel 2019 ha formato una coalizione con altri due partiti: Polonia solidale e Accordo. Fondato da due fratelli gemelli, Lech e Jaroslaw Kaczynski (il primo è morto in un incidente aereo, il secondo dice che a ucciderlo sono stati o i russi o l’opposizione polacca), il PiS è il partito di maggioranza e ha una storia antica, che nasce dalla ceneri del Solidarnosc , di cui ha fatto molti brandelli. Si è trasformato varie volte, ha acuito le sue posizioni conservatrici, xenofobe, e da europeista è diventato euroscettico: fino a unirsi al coro delle exit minacciate e mai compiute, perché molto sconvenienti.  Dal 2015 a oggi il PiS ha promosso una riforma della Giustizia che mette i magistrati della Corte suprema sotto al controllo del governo. Ha approvato una legge sull’Olocausto che rende punibile qualsiasi accostamento tra i crimini contro gli ebrei e la Polonia. Ha cercato di portare avanti leggi che limitano la libertà di stampa. Nell’ultimo anno hanno fatto molto discutere anche la legge sull’aborto e gli attacchi alla comunità lgbt, con la promozione di aree dette “lgbt free”.

 

Il Partito della libertà austriaco è uno di quei fenomeni che si creano, muoiono, rinascono, e rimuoiono continuamente nella storia politica di un paese. In grado di saper sfruttare le insoddisfazioni della nazione, ma di non saper dare risposte, l’ultima volta l’Fpö è stato al governo dal 2017 al 2019 al fianco del Övp, i popolari austriaci guidati da Sebastian Kurz. Nel 2019 l’allora leader del partito Heinz-Christian Strache – amatissimo e soprattutto tra i primi ad aver chiamato alla grande alleanza delle destre, era il 2013 – che era anche vicecancelliere, finì in uno scandalo che portò alla caduta del governo e che venne ribattezzato Ibizagate: Strache venne filmato mentre chiuso in una casa di vacanza a Ibiza prometteva alla sedicente nipote di un oligarca russo appalti in cambio di finanziamenti. Si scoprì che poi la ragazza probabilmente di parenti oligarchi non ne aveva, ma nel frattempo Strache aveva dato prova di essere capace di vendere il suo partito e anche la nazione alla Russia. Uno scandalo tira l’altro e dopo l’Ibizagate Strache, che aveva condotto una campagna elettorale incentrata sull’immigrazione e aveva fatto aumentare di molto il consenso del partito, divenne inviso alla stessa Fpö: lui e sua moglie Philippa avevano fatto largo uso dei fondi del partito per motivi personali. Al suo posto è stato nominato Norbert Hofer, che ha tentato di ammorbidire le posizioni dell’Fpö, ma senza successo alle urne.

 

Quella dei Veri finlandesi è una maratona, partono ottenendo pochissimo nel 1999, ma poi riescono a crescere sempre di più, fino a entrare al Parlamento europeo e anche, per un periodo, dentro al governo. Euroscettici, non atlantisti, ma l’ex leader Timo Soini disse che tra la Nato e l’Ue, la Nato sarebbe il male minore. I Veri finlandesi hanno anche fatto battaglie contro Schengen e contro l’euro, promuovono dei rapporti amichevoli con la Russia; ma le loro campagne  più forti sono quelle contro le politiche dell’immigrazione e soprattutto a tutela della specificità nazionali della Finlandia, come la lingua. Oggi il nuovo leader è Jussi Halla-aho, famoso per una triste proposta, poi ritirata e che gli costò anche la sospensione dal partito per due settimana: disse che i problemi del debito della Grecia potevano essere risolti soltanto con una giunta militare.

 

L’ultima dimostrazione di forza del partito nazionalista spagnolo Vox è stata la manifestazione contro l’indulto che il governo del socialista Pedro Sánchez ha voluto concedere ai leader indipendentisti catalani. Era metà giugno, Vox non era in piazza da solo ma con i popolari e con Ciudadanos, visto che la questione catalana crea convergenze peculiari. Ma il Partito popolare spagnolo, che pure ha ricevuto l’appoggio di Vox in alcune amministrazioni locali, cerca da tempo di arginare l’estrema destra e così il leader di Vox, Santiago Abascal, cerca alleanze con gli altri partiti come il suo, condividendone soprattutto la durezza nei confronti dell’immigrazione. Secondo Abascal, l’Ue sta diventando “un megastato federale che assomiglia troppo alla Repubblica popolare cinese, all’Urss e anche all’Europa sognata da Hitler”. Per fortuna, dice il leader di Vox, stanno crescendo “movimenti patriottici che non rimarranno a braccia conserte mentre alcune oligarchie degenerate trasformano intere nazioni in letamai culturali”. Questa frase è stata detta nell’ottobre del 2020.

 

Il Partito del popolo danese è diventato una presenza familiare della politica della Danimarca dalla sua fondazione da parte di Pia Kjærsgaard nel 1995, riuscendo a non superare (quasi mai) la linea di confine tra populismo ed estrema destra. Gli obiettivi dichiarati sono la protezione delle libertà e della cultura danesi: famiglia, monarchia e chiesa evangelica luterana. Inizialmente sull’immigrazione promuoveva limiti agli ingressi e l’assimilazione culturale. Questo ha permesso una collaborazione con il Partito liberale conservatore Venstre, a cui il Partito del popolo danese ha garantito per quattro volte l’appoggio esterno per governare (anche quando aveva più deputati). Solo negli ultimi anni il Dansk Folkeparti ha ceduto all’islamofobia e alla richiesta di vietare totalmente l’immigrazione da paesi non occidentali. Alle elezioni europee del 2014 era diventato il primo partito con il 27 per cento dei voti. Da allora una serie di scandali e passi falsi ha provocato la caduta del Partito del popolo danese, a cui i sondaggi attribuiscono il 5-6 per cento delle intenzioni di voto. Ma può comunque essere considerato come una storia di successo: le sue idee anti immigrazione hanno contagiato tutti a Copenaghen, compreso  il Partito socialdemocratico della premier Mette Frederiksen, che al governo sta adottando posizioni sempre più controverse, come il rimpatrio dei rifugiati siriani o il trasferimento dei richiedenti asilo in paesi africani.

 

A gennaio la neo premier dell’Estonia, Kaja Kallas, è riuscita a estromettere dal governo il partito nazionalista Ekre (che vuol dire Partito popolare conservatore). Ekre è euroscettico e pensa che il Recovery fund sia un patto del diavolo con Bruxelles. Uno dei suoi leader più citati, l’ex ministro dell’Interno Mart Helme (che ha un figlio che si chiama Martin e che ha fatto un gesto suprematista mentre giurava come ministro), pensa che i gay dovrebbero andarsene a vivere in Svezia, fa campagna contro gli stranieri, coltiva teorie del complotto come quella secondo cui la leadership tutta femminile della vicina Lituania sia un lavoro del “deep state”.

 

Il movimento nazionale bulgaro era nato come una piccola associazione, poi però ha deciso di trasformarsi in partito. Successo in passato ne ha avuto, ha partecipato a ben due coalizioni, ma con il tempo ha indurito le sue posizioni già molto conservatrici. In Bulgaria è uno dei maggiori propugnatori dei complotti sorosiani:  il miliardario americano di origini ungheresi vorrebbe che la Bulgaria si trasformi in una Repubblica del gender. E per questo Vmro chiede che nella Costituzione vengano apportate delle modifiche che vietino per sempre la possibilità, in futuro, di rendere possibile il matrimonio gay. L’ultima battaglia è quella contro la Macedonia del nord, che dopo aver risolto la contesa con la Grecia sul nome, si è trovata di fronte i no della Bulgaria, che la considera come un’appendice di se stessa. Sofia non riconosce l’esistenza della vicina Skopje, così la pensa il governo, e di questa posizione, il partito di estrema destra è forse il primo promotore.

 

L’acronimo sta per Azione elettorale dei polacchi in Lituania – Alleanza delle famiglie cristiane. E sin dal nome si capisce che il partito ha una forte componente nazionalista e di lituano non ha neppure tanto. E’ stato fondato dai polacchi rimasti in Lituania, che un po’ la rivendicano per loro, e un po’ si sono rassegnati al fatto   che la cartina dell’Ue difficilmente cambierà e quindi combattono per la loro tutela: sono il 7 per cento della popolazione. Al Parlamento europeo siedono tra i Conservatori e riformista vicino al PiS, e sono molto entusiasti di quello che fa il partito in Polonia e molte delle loro proposte in Lituania si basano su quel programma.

 

Questo partito romeno ha una storia antica e un nome lungo: Partito nazionale contadino cristiano democratico e fu il primo a costituirsi dopo la caduta del comunismo. Al Parlamento europeo ci è arrivato a malapena, anzi non ci sarebbe neppure dovuto essere, ma in seguito a un accordo con altri partiti romeni è riuscito ad avere un eurodeputato. Il Pntd-cd ha un primato: è stato il primo partito a essere espulso dal Ppe, oggi siede, con il suo unico parlamentare, tra i Conservatori e riformisti.

 

Il partito Soluzione greca ha un europarlamentare a Strasburgo e dieci parlamentari nel Parlamento di Atene. Ultranazionalista, Soluzione greca è stato fondato nel 2016 da Kyriakos Velopoulos, politico e giornalista (ha un suo canale, Alert Tv) nato in Germania e cresciuto a Salonicco. Vuole costruire una barriera ad alta tensione sul confine con la Turchia e abolire tutte le ong che si occupano di immigrazione. Ha più volte elogiato Orbán in pubblico e ha mutuato da Donald Trump lo slogan “Grecia first”. E’ pro russo e pro cinese.

Di più su questi argomenti: