Il retroscena

"No Zan? Allora Zac!". Letta avvisa i senatori Pd dubbiosi: non saranno ricandidati

Ancora tensione al Nazareno. Gli indiziati smentiscono qualsiasi intenzione, ma come si sa i franchi tiratori spuntano fuori sempre dopo, ma prima

Simone Canettieri

A Palazzo Madama sono almeno quattro, o forse il doppio, i senatori che vorrebbero mediare sul disegno di legge. Ma il segretario dem va dritto e fa capire che chi non sarà disciplinato finirà fuori dalle liste elettorali

L’espressione, così calzante e così onomatopeica, la fornisce un senatore del Pd. E’ acquattato dietro a un busto in un corridoio di Palazzo Madama: “No Zan? Allora Zac!”. E poi mima con la mano destra il verso delle forbici, del taglio netto. Il simpatico parlamentare, scuola diccì come la maggioranza degli eletti plasmati da Matteo Renzi nel 2018, svela  il non detto che sta facendo passare Enrico Letta: “Chi non voterà il ddl Zan non sarà ricandidato”.  


Altro dunque che “Anima e cacciavite”, come da titolo del libro (il suo green pass dopo l’esilio francese) del segretario Pd. Enrico Letta vuole e pretende disciplina dai suoi parlamentari. O sarà scalpo: possono dimenticarsi un altro giro in Parlamento, un posto dove già sarà complicato entrarvi visto che dalla prossima legislatura ci sarà un terzo degli scranni in meno. E  allora: “Avanti su Zan per l’Europa dei diritti”, dice ancora Letta nel giorno in cui Orbán è difeso a Strasburgo solo da Lega e Fratelli d’Italia, con Forza Italia che si divide. Il segretario che vuole trasformare il Pd in Pdd (Partito dei diritti) ne fa una battaglia campale. Vuole vincere. E contarsi per contare. Altro che mediazione. Sarebbe pronto  a rivendicare la sconfitta, petto in fuori verso la bella morte (mancò il pallottoliere, ma non il valore). “Salvini in due anni ha quasi dimezzato i consensi e, dopo pellegrinaggi vari, ha deciso di votarsi a Orbán e ai suoi amici nazionalisti. La vera notizia di oggi è il voto sulla risoluzione  con destra italiana isolata in Europa su Lgbti”, è il pensiero condiviso dal segretario durante il tour letterario in Lombardia. 

Il fatto è che sul ddl di cui tutti parlano aleggia la manina dei franchi tiratori. Le liste dem “dei non siamo d’accordo sull’identità di genere” corrono di chat in chat. Mino Taricco,   raro panda lettiano in Senato, lo dice in chiaro: “Non so come voterò, serve una mediazione”. Tommaso Cerno è stato più netto. Tuttavia gli altri dubbiosi sullo “Zan” che temono lo “Zac!” (Collina, Margiotta, Fedeli, D’Alfonso, Valente, Messina, Stefàno) in queste ore si stanno precipitando a dichiarare parole arcobaleno: “Non faremo mancare il nostro voto”. Ma si è mai visto un franco tiratore che si costituisce prima del colpo di rivoltella? Certo che no. Anche Letta lo sa. Tanto che calcola intorno a quattro la quota di coloro che andranno, nel segreto del voto, fuori linea. Sono i maledetti indisciplinati. Quelli che pensano che il Pd sia una casa delle libertà (sull’autonomia dei gruppi parlamentari Nicola Zingaretti potrebbe scrivere un amaro memoir). Gli occhi e i sospetti sono puntati su Base riformista e Area dem, le correnti dei silenti Lorenzo Guerini e Dario Franceschini, i cattolici di sinistra. Ma le loro truppe dicono – ovvio – il contrario: “Siamo con Enrico”.

Bruno Astorre, che è franceschiniano, aggiunge: “Sono per la disciplina di partito, altrimenti facciamo come quando la sinistra di Bersani e Speranza andava sempre dalla parte opposta rispetto a quella di Renzi”. Vanno registrate tutte le frasi, le smentite e  i buoni propositi, sapendo che svaniranno appena la Lega chiederà il voto segreto. E dunque valle a prendere queste schegge di Pd (ce ne sono anche nel M5s) che dicono alla buvette: “Renzi ha ragione, serve una mediazione”. 


Simona Malpezzi, che è la capogruppo imposta da Letta appena disfatta la valigia con l’adesivo della Torre Eiffel, da giorni fa colloqui singoli con ciascuno dei trentasette colleghi.  In tutto questo caos, tra minacce velate e giuramenti doppi di fedeltà, c’è anche il calendario di mezzo: martedì dovrebbe iniziare l’iter del ddl Zan (quanti saranno gli emendamenti e cosa farà Iv?), il giorno dopo  toccherà al voto sul cda Rai, poi si dovrà decidere quando incardinare il Sostegni bis (che scade 24 luglio) e quando rimandare il decreto Pa alla Camera. Un ingorgo che complica tutto. Soprattutto nel Pd dove la disobbedienza non è più una virtù.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.